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Cina e Chiesa, la lezione di Ratzinger per una riconciliazione. La riflessione di Pedrizzi

Indubbiamente Benedetto XVI ha fatto compiere una accelerazione quanto ad attenzione della Chiesa verso la Cina e la Chiesa cinese, in particolare con la lettera ai cattolici cinesi del 2007. Purtroppo, davanti a tutto questo impegno, allora la risposta di Pechino non fu positiva, ma continuare a cercare il dialogo è fondamentale. La riflessione di Riccardo Pedrizzi

Nel 2007 Benedetto XVI scriveva in una sua Lettera ai cattolici cinesi di nutrire per il popolo cinese “un vivo apprezzamento e sentimenti di amicizia”, “auspicando un accordo” con le autorità di Pechino e varando “il progetto di Accordo sulla nomina dei Vescovi in Cina, che soltanto nel 2018 sarà possibile firmare”, come sottolineò chiaramente il cardinal Re in una lettera a tutti i cardinali del 26 febbraio 2020.

Joseph Ratzinger cominciò a occuparsi di Cina prima di diventare papa, in particolare mentre era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, quando gli venne sottoposta la questione dei vescovi illegittimi, ordinati cioè senza l’approvazione del Pontefice. Alcuni di questi avevano fatto sapere di soffrire per la separazione da Roma e chiedevano il perdono del papa. Giovanni Paolo II chiese a Ratzinger un argomentato parere teologico e questi, al termine di una approfondita indagine, riconobbe che, anche se illegittimi, si trattava di vescovi e cioè consacrati secondo le norme della Chiesa. Da allora, Ratzinger continuò ad interessarsi della Cina, e divenuto papa incoraggiò il dialogo con le autorità di Pechino.

Con la sua Lettera, papa Benedetto XVI in effetti desiderava manifestare il suo amore e la sua vicinanza alla comunità cattolica che è in Cina.

Dal testo del Documento pontificio emergono due atteggiamenti fondamentali: da una parte, un profondo affetto spirituale per tutti i cattolici in Cina e una cordiale stima per il popolo cinese e, dall’altra parte, un fervido richiamo ai perenni principi della tradizione cattolica e del Concilio Vaticano II in campo ecclesiologico. Si è di fronte, quindi, a un appassionato invito alla carità, all’unità e alla verità.

Non è, quindi, un documento politico, pur non potendo ignorare le note difficoltà che la Chiesa in Cina doveva affrontare quotidianamente.

Nella Lettera, Benedetto XVI si dice pienamente disponibile ed aperto ad un sereno e costruttivo dialogo con le Autorità civili al fine di trovare una soluzione ai vari problemi, riguardanti la comunità cattolica, e di arrivare alla desiderata normalizzazione dei rapporti fra la Santa Sede e il Governo della Repubblica Popolare Cinese. Infatti scriveva nella sua lettera ai cattolici cinesi: “La comunione di tutte le Chiese particolari nell’unica Chiesa cattolica e, quindi, l’ordinata comunione gerarchica di tutti i vescovi, successori degli apostoli, con il Successore di Pietro sono garanzia dell’unità della fede e della vita di tutti i cattolici. È perciò indispensabile, per l’unità della Chiesa nelle singole nazioni, che ogni vescovo sia in comunione con gli altri vescovi e che tutti siano in comunione visibile e concreta con il papa”. Egli auspicava cioè, sulla scia di Giovanni Paolo II, il miglioramento dei rapporti con la Cina e il sostegno ai cattolici cinesi tra gli obiettivi importanti del suo pontificato. Già da cardinale, del resto, Joseph Ratzinger aveva compiuto a Hong Kong un importante viaggio nel marzo 1993, per incontrare 25 vescovi delle commissioni dottrinali delle Conferenze episcopali asiatiche. In quell’occasione tenne un fondamentale discorso.

Indubbiamente Benedetto XVI ha fatto compiere una accelerazione quanto ad attenzione della Chiesa verso la Cina e la Chiesa cinese.

La storia dell’impegno dei papi verso la Cina dura da secoli.

Benedetto XV, aveva scritto una lettera apostolica – la Maximum Illud -, pubblicata il 30 novembre 1919, considerata la “Magna Charta” dell’attività missionaria in epoca contemporanea e che fu sollecitata proprio dalla situazione dei cattolici in Cina agli inizi del ventesimo secolo e da una serie di note che i missionari in quel Paese inviarono alla Congregazione Propaganda fide. In quel tempo infatti, la presenza missionaria veniva percepita al servizio di interessi stranieri. E poi dal suo successore Pio XI. Senza l’azione dei romani Pontefici la Chiesa in Cina sarebbe meno cinese e meno cattolica.

E questo vale tanto più oggi.

La presa di potere di Mao accrebbe il dolore e la persecuzione dei fedeli, ma non interruppe l’interesse da parte della Chiesa cattolica e il dialogo con il regime. Con Giovanni Paolo II ripresero i messaggi verso la Cina, pubblici e riservati (si sa di una lettera inviata dal papa a Deng Xiaoping, alla quale non fu mai data risposta), insieme alle denunce della persecuzione e alla preghiera per persecutori e perseguitati. Benedetto XVI seguì la linea tracciata da Giovanni Paolo II e parlò esplicitamente della persecuzione che soffrivano i cristiani in Cina.

Dagli anni 2000 la Cina ha fatto registrare uno sviluppo economico impressionante, ma anche una rinascita religiosa con la scoperta che il cattolicesimo e il protestantesimo con i propri valori e principi avrebbero potuto dare significato alla vita e rendere anche più coesa e solidale l’intera società.

Come già detto, la lettera di papa Benedetto XVI del 30/06/2007 ai cattolici di Cina dette un ulteriore impulso all’azione della Santa Sede verso l’intero popolo cinese, in quanto il papa propose l’elemento spirituale come occasione per tutti di rinascita e riconciliazione per il popolo cinese. Si tratta di una riconciliazione anzitutto suggerita alla Chiesa, divisa fra Chiesa ufficiale controllata dal regime, e Chiesa sotterranea, non riconosciuta dal governo. Del resto in quegli anni, molti vescovi cinesi, pur ordinati dal governo comunista, manifestavano segretamente la loro sottomissione al pontefice e molte diocesi organizzavano nei fatti una collaborazione fruttuosa fra i due rami della Chiesa per l’evangelizzazione. Io in occasione di un mio viaggio a Shangai incontrai un vescovo della chiesa patriottica che mi chiese di esprimere la sua fedeltà al papa e mi confessò che buona parte delle offerte raccolte trai suoi fedeli la trasferiva poi a rappresentanti della chiesa clandestina perseguitata.

In quella stessa “Lettera” il pontefice si rivolgeva alle autorità del governo, auspicando un accordo sulle nomine dei vescovi, ma rivendicava allo stesso tempo l’indipendenza in campo spirituale. E per dimostrare la buona volontà della Chiesa al dialogo aperto e franco, il papa tolse il potere straordinario ai vescovi (clandestini) di nominare loro successori in segreto.

Con questo spirito instituì la Giornata mondiale di preghiera per la Cina, da celebrare il 24 maggio di ogni anno, festa della Madonna di Sheshan e varò anche una “Commissione Cina”.

Purtroppo, davanti a tutto questo impegno, allora la risposta di Pechino non fu positiva.

Con l’arrivo di papa Francesco si sono create alcune condizioni per riprendere il dialogo con la Repubblica popolare cinese, che ha portato all’Accordo provvisorio del 2018. Francesco ha sempre affermato che la Lettera di Benedetto XVI ai cristiani della Cina è una pietra miliare che ispira l’impegno della santa Sede verso questo grande Paese. Sta di fatto però che in realtà l’approccio e la prospettiva con cui l’attuale pontefice ha affrontato il problema sono diversi. Infatti condizione imprescindibile perché ci sia effettiva libertà religiosa – alla quale Benedetto XVI teneva molto – è non solo che la Chiesa sia lasciata libera di predicare sulla fede, ma anche quella di avere la possibilità di denunciare in modo “vivo e stringente” le “forze che in Cina influiscono negativamente sulla famiglia”. Questa richiesta di libertà di parola su vita e famiglia, “non negoziabile” per Benedetto XVI, sembra essere stata lasciata cadere dal suo successore.

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