Modi va Kyiv, mentre la sua diplomazia si muove tra Medio Oriente, Indo Pacifico e Stati Uniti. L’India cerca uno spazio negli affari globali, mostrandosi vicina alle istanze occidentali, ma senza trascurare niente della posizione di non-allineata che dialoga con tutti
La visita del primo ministro indiano, Narendra Modi, in Ucraina è parte di una “global agenda” che in questi giorni New Delhi ha messo in movimento. Il viaggio a Kyiv (programmato per giovedì 23 agosto, dopo la sponda a Varsavia il giorno precedente) segue di poche settimane quello a Mosca, abbraccio, osservato dai partner occidentali dell’India, frutto di necessità più che di volontà, garantiscono fonti diplomatiche indiane. Le volontà sono invece maggiormente mobilitate nell’offensiva diplomatica di questi giorni, che non porterà solo Modi nella capitale del Paese invaso dalla Russia, ma muove anche il capo della diplomazia, il ministro degli Esteri S. Jaishankar in Kuwait, e quello della Difesa, Rajnath Singh, negli Stati Uniti, nonché una serie di leader dell’Indo Pacifico a New Delhi.
Con gli Usa c’è un dialogo aperto che coinvolge quasi tutti i dossier più importanti per i due Paesi e per gli affari internazionali. Dalla tecnologia discussa tramite il formato iCet (dove si toccano terre rare, semiconduttori, intelligenza artificiale, e ricerca scientifica in generale) alle forniture militari che dovrebbero creare forme di integrazione tra le catene produttive (in trattativa finale la produzione dei motori F404 della General Electric per i jet Tejas Mark 1A indiani). Sul tavolo porterebbero esserci anche questioni più ampie però, per esempio gli americani hanno chiesto a New Delhi di usare le buone relazioni con Mosca per aiutare nel tentativo di portare Vladimir Putin a un tavolo in cui negoziare una pace giusta.
L’India non si sbilancerà, ma lavorare in questo senso dà a Modi un ruolo, anche agli occhi di quella parte di mondo che, non schierata, vuole pragmaticamente la fine della guerra per evitarne effetti e riflessi. Dopo l’incontro pianificatore della scorsa settimana con il vice consigliere per la Sicurezza nazionale indiano, Pavan Kapoor, era stato il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Andriy Yernak, a dichiarare che Kyiv spera nelle capacità del premier indiano di creare “uno sforzo per la pace”. Volodymyr Zelensky arricchirà queste speranze (magari offrendo spazi nella ricostruzione) nell’incontro diretto con Modi, visto l’ultima volta a Borgo Egnazia, in occasione del G7 ospitato dall’Italia a giugno.
Tant’è che quando Singh incontrerà il suo omologo americano, Lloyd Austin, si parlerà tanto di aspetti tecnici quanto di visione politiche. L’indiano spingerà per ottenere dagli Usa la condivisione di tecnologia militare cutting-hedge (per esempio semi conduttori di grado bellico per missili e AI), l’americano vorrà capire come questo visibile impegno indiano potrà tradursi in fatti. La visita a Mosca di Modi aveva fatto storcere il naso, perché aveva dato a Putin l’opportunità di non mostrarsi isolato. Ossia aveva annullato (visto il peso globale dell’India) parte del senso dell’impegno occidentale dal 24 febbraio 2022. Ora Washington vuole rassicurazioni, perché su quell’impegno ha raggruppato gli alleati anche pensando alla Cina – e ora invece vede scricchiolare la posizione di alcuni europei.
Avere l’India dalla propria parte, anche senza un allineamento esplicito e sbandierato, è fondamentale per l’Occidente e dunque per gli Stati Uniti. A maggior ragione in un momento delicato come questo, dove il peso di dossier internazionali complessi come l’Ucraina o la guerra nella Striscia di Gaza si somma alle dinamiche di Usa2024. Anche perché, fuori dall’Occidente c’è un mondo che ascolta New Delhi e lo guarda come un interlocutore primario (per posizioni terze e per capacità futuribili). È per esempio il caso del Kuwait, con il principe ereditario, lo sceicco Sabah al Khaled al Sabah, che dopo l’incontro con Jaishankar ha parlato di amicizia secolare e partnership “contemporanea” – in riferimento al senso di contemporaneità che ha l’avere partnership con l’India.
Lo stesso sentimento che fonde passato e futuro è quello che porta (dal 18 al 23 agosto) i ministeri degli Esteri di Nepal, Malesia e Giappone per un incontro indo-pacifico in India, a latere del quale ha preso particolare rilevanza il 2+2 guidato da Yoko Kamikawa, la ministra degli Esteri che potrebbe prendere il posto di Fumio Kishida alla guida del Partito liberal-democratico, e dunque del Giappone. In questi giorni, anche il primo ministro malese, Anwar Ibrahim, incontra Modi con il quale intende approfondire le relazioni anche nell’ottica della gestione della Cina, che per la Malesia è un problema nel Mar Cinese e per l’India è il primo competitor globale. Sul tavolo tecnico delle relazioni bilaterali anche la creazione di un meccanismo di co-gestione dei Sukhoi russi che entrambi le forze armate utilizzano – e si trovasse il modo per aggirare l’assistenza da Mosca sarebbe anche un punto politico (per l’Occidente).