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Bank of China, cosa c’è dietro le dimissioni di Liu Jin

Il numero uno della principale istituzione finanziaria cinese ha rassegnato improvvisamente le dimissioni. Ufficialmente per motivi personali, ma per la banca statale non sono stati mesi facili, tra stop ai pagamenti da e per la Russia, le insolvenze nel mattone e la crociata di Xi contro la corruzione

Dopo tre anni al timone della prima banca statale cinese, Bank of China, Liu Jin si è dimesso dalla carica di vicepresidente e presidente, con una mossa a sorpresa, cinque mesi dopo la sua riconferma alla carica di massimo dirigente dell’istituto del Dragone, che guidava dal 2021. I fatti, prima di tutto. Come ha dichiarato la stessa Bank of China, controllata dallo Stato cinese tramite l’agenzia statale State Administration of Foreign Exchange, Liu si è dimesso per “ragioni personali”, con decorrenza dal 25 agosto.

Liu è un banchiere di carriera, è entrato a far parte della banca come presidente nell’aprile 2021 ed è stato nominato vicepresidente nel giugno 2021. Prima della Bank of China, ha ricoperto vari incarichi presso la China Everbright Bank, sempre di proprietà statale, l’Industrial and Commercial Bank of China e la China Development Bank. Da questo momento in poi, Ge Haijiao, presidente e segretario del partito all’interno della Bank of China, ricoprirà la carica di presidente ad interim fino alla nomina di un nuovo presidente. Ge è stato presidente, direttore non esecutivo e presidente del comitato strategico e di bilancio delle filiali della banca a Hong Kong e nella Cina continentale da aprile 2023.

Perché questo passo indietro? Tanto per cominciare bisogna ricordare che Bank of China è uno dei pilastri dell’economia cinese, la quale poggia sul disastrato settore immobiliare. Per questo l’istituto risulta oggi fortemente esposto alla catena di insolvenze che ha colpito (e sta colpendo) il mattone. Secondo aspetto di cui tenere conto, Bank of China ha recentemente negato le transazioni da e per la Russia, per timore, come raccontato da Formiche.net, di finire a sua volta colpita dalle sanzioni americane. Fattori, uno più interno e l’altro più esterno, che hanno inevitabilmente aumentato la pressione sull’istituzione.

Essendo, al netto della Pboc, ovvero la banca centrale cinese, l’istituto più grande dell’ex Celeste Impero, Bank of China rappresenta uno dei bastioni della Via della Seta, dal momento che il grosso dei finanziamenti destinati alle infrastrutture, arrivano proprio da lì. Peccato che la Bri, anche per colpa della natura decisamente opaca dei prestiti concessi dalla Cina, sia andata in pezzi, almeno nei Paesi con un’economia poco solida. Il che si è ovviamente ripercossa sulla stessa Bank of China.

C’è poi l’aspetto giudiziario. Prima di dimettersi, Liu aveva saltato il board della banca del 19 agosto, presieduto da Ge, in cui la banca aveva annunciato i piani di cambiare il suo revisore contabile, passando da Pwc China al rivale EY. Inoltre, le dimissioni dell’ex presidente sono seguite alla dichiarazione di colpevolezza di un’altra prima linea, Liu Liange, circa l’accusa di aver accettato più di 121 milioni di yuan (17 milioni di dollari) in tangenti e di aver concesso illegalmente prestiti per un valore di 3,3 miliardi di yuan.

Ed è qui che entra in gioco Xi Jinping, che da tempo ha preso di mira i vertici delle grandi banche statali, nell’ambito della sua personalissima crociata contro la corruzione. Lo scorso aprile la Cina ha avviato un nuovo ciclo di ispezioni  da parte delle autorità, mettendo nel mirino proprio alcune delle più grandi banche statali del Paese, nonché gli enti di regolamentazione finanziaria, come il ministero delle Finanze e la China Securities Regulatory Commission. E chissà che non c’entrino in qualche modo anche gli imminenti stress test da parte della Pboc, per verificare la solidità delle grandi banche in materia di obbligazioni.

I controlli puntano a prevenire i rischi derivanti da potenziali fluttuazioni dei tassi che potrebbero intaccare i prezzi dei bond e provocare perdite finanziarie agli investitori. Negli ultimi mesi l’istituto centrale di Pechino ha ripetutamente messo in guardia dal rally obbligazionario, che ha spinto i rendimenti a lungo termine della Cina ai minimi da diversi decenni, in quanto la domanda di beni rifugio è alimentata dalle preoccupazioni per l’economia. Di sicuro, il destino della fin troppo fragile economia cinese, passa per la salute della Bank of China. Qui gli analisti non sono troppo ottimisti.

“Riteniamo che gli utili continueranno a essere sotto pressione e in leggero calo, spinti dal calo dei margini di interesse netto anno su anno, dal rallentamento della crescita dei prestiti, dalla crescita contenuta dei ricavi da commissioni e dalla continua pressione sulle banche affinché sacrifichino i profitti per aiutare a servire l’economia reale”, ha affermato Michael Chang, responsabile finanziario per l’Asia presso CGS International.

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