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Vi racconto angosce e peripezie di leader e partiti di svolta. Gli scenari di D’Anna

Gli scenari sono in continua evoluzione, ma il quadro degli stress test dei protagonisti è già delineato. In meno di due mesi, le roventi settimane di luglio e agosto hanno determinato tutta una serie di nuove prospettive politiche per il Paese. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Un’estate disperata. Un’angoscia politica che non risparmia nessun partito. Con lo spettro di un contesto economico di default e di guerre quasi incontrollabili nell’est dell’Europa e nel cuore del mediterraneo. Una stagione di sommovimenti e di distacchi, in procinto di trasformarsi in valanghe autunnali. Gli scenari sono in continua evoluzione, ma il quadro degli stress test dei protagonisti è già delineato:

Giorgia Meloni

Pur con tutti i distinguo umani e politici riguardanti la linearità della premier, l’estate meloniana rappresenta un esempio emblematico del travaglio che le vicende familiari hanno assunto per i leader storici delle destre europee. Dalle lontane vicissitudini di Ramón Serrano Súñer, il cognato del Caudillo spagnolo Francisco Franco, alla più recente saga di Gianfranco Fini & family, spesso le difficoltà più insidiose sono quelle provocate, involontariamente o meno, dalla parentela: fratelli, cognati e dintorni. Vicende private con riflessi pubblici, alle quali si é aggiunta l’esponenziale divergenza sulle decisioni e le nomine di governo dei leader della lega, Matteo Salvini, e di Forza Italia, Antonio Tajani.
Divergenze talmente contrapposte, anche rispetto a Fratelli d’Italia, da far evocare la crisi di governo. Nonostante le ricuciture e i compromessi in vista della nomina del commissario europeo e dell’incardinamento della legge di bilancio, la situazione presenta due complessi scenari riguardanti i grovigli interni della Lega, alle prese con la rotta di collisione di Vannacci e l’avvitamento di Salvini, e di Forza Italia sospinta da Marina e PierSilvio Berlusconi in una posizione di sostanziale distinguo dalla maggioranza di Governo. Una posizione che si potrebbe definire di appoggio esterno, o meglio: do ut des.
In mancanza di alternative e di un accordo di legislatura, una volta messo in sicurezza il bilancio dello stato, a Giorgia Meloni non resterà che aprire la crisi tentare di aggregare una  nuova maggioranza oppure puntare alle elezioni anticipate. Da tenersi nella primavera prossima.
I sondaggi lasciano intravedere la possibilità di raggiungere la maggioranza anche se Fratelli d’Italia si dovesse presentare da sola o con uno solo degli attuali alleati. Essenziale in ogni caso fare un bilancio dell’azione di governo, di quello che ha funzionato e dei fallimenti. Un bilancio molto positivo a livello internazionale, dal G7 ai rapporti euroatlantici, al feeling con Biden ed vari leader.  Contatti diretti che hanno rilanciato la posizione dell’Italia nel mondo. Molto negativi invece vari aspetti della gestione interna.
Dal disastro della Rai, lasciata in mano ad apprendisti stregoni, al confronto  con l’informazione, alle disavventure giudiziarie e mediatiche di ministri e sottosegretari, alla riforma della giustizia da attuare col concorso e non contro i magistrati, alle contraddizioni sul fisco, la sanità, le carceri,  al varo di una legge palesemente incostituzionale e inapplicabile come l’autonomia differenziata delle regioni, fino all’irrealizzabile miraggio, per insormontabili criticità geosismiche, Ponte sullo Stretto di Messina. All’esame di coscienza non può mancare la consapevolezza dell’urgenza di aggregare una classe dirigente esperta e competente che possa affiancare i Ministri ed i sottosegretari più efficienti, come Guido Crosetto ed Alfredo Mantovano, Raffaele Fitto ed Adolfo Urso. 

Antonio Tajani 

Con una rapidità sorprendente la metamorfosi del partito fondato da Silvio Berlusconi ha trasformato in poche settimane Forza Italia nel baricentro della politica. Evidente la regia di Marina e Pier Silvio Berlusconi che per evitare di disperdere l’ancora notevole brand politico del padre hanno impresso una profonda scossa al notabilato parlamentare adagiatosi nell’orbita meloniana.
Come col Cavaliere, Tajani si è adeguato e si appresta ad alzare ulteriormente il livello delle richieste ben oltre lo ius scholae: niente autonomia differenziata e imposte bancarie, ed invece presidenza Rai, tetto pubblicitario riforma della giustizia e nomine sparse. Richieste su richieste fino al limite della tenuta della maggioranza, anche a costo di rischiare una scissione di parlamentari che piuttosto che lasciare il governo o il sottogoverno preferiscono la certezza di un collegio elettorale con Fratelli d’Italia.
La svolta decisiva di Fi si avrà in caso di elezioni anticipate, con la probabile discesa in campo di uno dei fratelli Berlusconi e l’immissione di numerosi giovani a cominciare da Stefano Benigni, leader del movimento giovanile, e la leadership degli esponenti politici vicini a Giorgio Mulé, Debora Bergamini, Licia Ronzulli dei fratelli Mario e Roberto Occhiuto e dei parlamentari e presidenti di regione tradizionalmente legati ai Berlusconi. Invece delle repliche, la saga berlusconiana ricomincia con una nuova serie di puntate. L’obiettivo é quello di essere parte attiva di una maggioranza di centrodestra o posizionarsi fra i due blocchi in un ambivalente appoggio esterno.

Matteo Salvini 

Scavalcato da Tajani e messo all’angolo da Vannacci, zero autonomia e nessun ponte: sembrava impossibile, eppure il leader della Lega in soli due mesi é riuscito a peggiorare il bilancio negativo della sconfitta elettorale delle europee. Non solo, ma l’arroccamento sulla Rai ha provocato il ricompattamento dell’opposizione ed il blocco delle nomine dei vertici di Viale Mazzini. Una maledizione quella della Rai che tradizionalmente punisce con l’uscita di scena chi non azzecca l’assetto del settimo piano, vedi nell’ordine Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Giuseppe Conte e Mario Draghi.
Incalzato dal Vannacci party e dalla bruciante bocciatura di fatto dell’autonomia, cosa resterebbe da fare al segretario leghista se dovesse perdere anche le prossime elezioni regionali in Emilia Romagna, Umbria e Liguria, se non uscire dal Governo? L’ultima volta che l’ha fatto, nel 2019, nell’estate del Papeete, la Lega è rimasta imbottigliata all’ opposizione e ha subito il commissariamento del Governo Draghi, per poi  riemergere ma con una pesante emorragia di voti solo grazie all’alleanza con Giorgia Meloni.
L’unica alternativa di via Bellerio appare quella della sostituzione del segretario e del rilancio dell’alleanza di centrodestra. Ma la piattaforma della ripartenza è simile ad un’armistizio al quale difficilmente potranno aderire i neo peronisti seguaci del generale Roberto Vannacci. Le varianti sono molteplici, ma le prospettive di recupero per Salvini appaiono minime.

Giuseppe Conte

Ideologicamente e politicamente chiunque vinca il duello all’ultimo parlamentare in corso fra l’ex Premier e il fondatore garante Belle Grillo, il Movimento Cinque Stelle é definitivamente morto e sepolto. Evangelicamente si potrebbe dire che é morto il 12 aprile 2016, giorno della scomparsa di GianRoberto Casaleggio, ma é stato sepolto nell’autunno di otto anni dopo con una fantomatica Assemblea Costituente, terreno della faida fra Grillo e Conte. Senza il fondatore viene meno l’idea stessa della vacua alternativa del “vaffa” rappresentata dal movimento e senza Conte si dissolve l’evanescente esperienza di governo. Due equivoci che si sostenevano sull’illusione di un’alternativa politica che, morto Casaleggio, non erano in grado di sostanziare. Che resterà ? Un pugno di deputati e senatori senza radici territoriali e senza voti, che alle politiche faticheranno non poco a superare lo sbarramento de 3 per cento.

Un residuo parlamentare ipoteticamente aggregabile al Pd o a Fratelli d’Italia, probabilmente per sbloccare le nomine Rai, ma che a parte Conte e pochissimi fedelissimi è destinato alla non rielezione. Nell’immaginario collettivo il consenso protestatario qualunquista che costituiva la base dei 5Stelle si é infatti prevalentemente spostato sul Vannacci party.

Elly Schlein 

Le peripezie dei leader avversari e il successo unitario delle forze democratiche contro la deriva di Marine Le Pen in Francia, hanno reso più attenta la pausa feriale della segretaria del Pd, protagonista di un’estate serena dopo la notevole affermazione alla Europee. La lezione parigina ha galvanizzato il centrosinistra, disinnescato la sindrome della perdita del potere e le divisioni interne che scuotono le due anime del Pd, cattolica e comunista mai coagulatesi, e avviato l’aggregazione di tutte le forze d’opposizione. A cominciare dai 5 Stelle di Conte che dopo la disfatta elettorale alle europee hanno toccato con mano il rischio di dissolvimento del movimento.

Essenziale l’abilità di sottolineare le tematiche unitarie e tralasciare quelle divisive, come per esempio la partecipazione di Matteo Renzi e Carlo Calenda all’alleanza antigovernativa dell’opposizione. A cominciare dal blocco della Rai, che se dovesse proseguire compatta potrebbe coincidere con la decisione giudiziaria sulla richiesta di non procedere l’attuale iter delle nomine dei vertici Rai perché in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale e con le nuove norme europee. La segretaria conta di bypassare le ostilità manifestate nei confronti di Renzi col successo preventivato alle tre regionali d’autunno. In ogni caso, anticipate o meno, le prossime politiche si vincono o si perdono solo sulla base di alleanze unitarie.

In caso contrario l’unico partito che non ha problemi di sbarramento è il Pd. Superato il prevedibile scoglio della formazione delle liste, nessuno si illude comunque che all’interno del Pd non riaffiorino le divisioni e i tentativi di proporre altri candidati Premier oppure di inserire paletti e pregiudiziali nel programma e nelle ipotesi di governo. L’ambizione dichiarata di Elly Schlein é proprio quella, in caso di svolta unitaria del centrosinistra, di rimarginare una volta per tutte la ferita del fallimento della fusione degli eredi della Dc e del Pci, sviluppando  l’attitudine all’unità e rimuovendo l’inclinazione a spaccare il capello in quattro, caratteristica del retaggio marxista leninista.

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