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La Cina ha un problema, parla (troppo) poco coi mercati

Sono anni che la Pboc, la banca centrale, comunica e trasmette la politica monetaria in modo opaco e improvviso. Stordendo i mercati, che reagiscono male e con conseguenze per l’economia, non solo cinese. Ecco cosa scrive l’economista del Brookings, Eswar Prasad

Nei giorni in cui la Cina vive il suo ennesimo psicodramma bancario, stavolta sono saltati i vertici di Bank of China, un economista del calibro di Eswar Shanker Prasad, in forza al Brookings Institute e alla Cornell Univesity, accende un faro su quella che è a tutti gli effetti, una delle più gravi mancanze cinesi viste in questi ultimi anni: la mancanza di una buona comunicazione. Discorso, tanto per essere chiari, che non vale solo per l’economia, la finanza e la moneta.

Stavolta nel mirino c’è la vigilanza, ovvero la Pboc, la banca centrale cinese. Chi decide, insomma, quanto costa il denaro e quanto ne deve fluire o defluire nell’economia reale. Ebbene, la Pboc, “tra le principali banche centrali nei mercati avanzati o emergenti, è l’unica che non apporta modifiche ai tassi di interesse e ad altri aspetti della politica monetaria, tramite apposite riunioni del comitato direttivo (come invece accade per la Bce, ndr)”, scrive Prasad. “Invece, le modifiche alla politica vengono apportate e comunicate tramite comunicato stampa . In quanto banca centrale della seconda economia più grande e che aspira a promuovere meccanismi di mercato, questa mancanza di trasparenza ha molte conseguenze negative, sia a livello nazionale che internazionale”.

Un esempio? “L’opacità della Pboc lascia che i mercati si chiedano quale sia la sua strategia di politica monetaria reale. Invece di gestire le aspettative sui tassi di interesse, un elemento chiave della politica della banca centrale, la banca centrale cinese finisce solitamente sulla difensiva, reagendo agli sviluppi del mercato. Ciò rende la trasmissione della politica monetaria in attività economica e inflazione, un processo bizantino nelle migliori circostanze, ancora più difficile da gestire”. Il messaggio è chiaro. Da sempre una banca centrale fa intendere al mercato le sue future mosse: accade con la Bce e accade con la Federal Reserve. Questo aiuta gli investitori e le Borse a orientarsi, fiutando eventuali tagli o rialzi del costo del denaro e ad attutire l’urto. In Cina, invece, tutto questo non accade, non viene creata nessuna atmosfera della vigilia. Con il risultato che i mercati incassano e reagiscono male, quasi storditi.

Non è finita. “Un’altra conseguenza è l’ accumulo non necessario di pressioni sul tasso di cambio quando i trader di valute cercano di intuire le intenzioni della Pboc in una direzione o nell’altra. Questa mancanza di comunicazione si è già ritorta contro la stessa Cina. Nell’agosto 2015, una mossa a sorpresa ben intenzionata per liberare il tasso di cambio, comunicata tramite una dichiarazione criptica, ha creato il panico sul mercato. L’ampliamento della banda di negoziazione del renminbi rispetto al dollaro è stato accompagnato da una svalutazione di quasi il 2%, erroneamente vista come un segno di un’ulteriore svalutazione a venire. Alla fine, la Pboc ha tenuto una conferenza stampa per chiarire le sue intenzioni. Ma il danno era fatto, con i capitali in fuga dalla Cina e la valuta in forte deprezzamento”.

Domanda, a quando una comunicazione migliore con il mercato? Secondo l’economista “la Pboc vuole modernizzare la politica monetaria della Cina, liberalizzare i mercati finanziari e promuovere il renminbi. Bene, ma per realizzare tutto questo, comunicazioni più aperte, trasparenti, sono un prerequisito. Senza questo, è inutile per il governo cinese aspettarsi che la Pboc rispetti efficacemente i suoi mandati di promozione della stabilità monetaria e finanziaria”.

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