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Cosa ci dice l’incidente tra petroliere nel Mar Cinese Meridionale

L’incidente al largo della Malesia mostra la pericolosità della flotta di petroliere ombra, soprattutto in ambito ecologico. Rimarcando al contempo l’aspetto geopolitico

Il traffico irregolare di petrolio è un fenomeno con una rilevanza sempre crescente all’interno del sistema economico-energetico internazionale. L’esistenza di una “flotta ombra” estranea alle normative e alle regolamentazioni rende possibile aggirare le sanzioni comminate nel mondo dell’industria petrolifera, permettendo così ai produttori di ottenere margini di guadagno decisamente maggiori (come nel caso della Federazione Russa, che non a caso è uno degli attori protagonisti dietro all’esistenza di questo assembramento di navi-fantasma), e agli acquirenti di garantirsi prezioso combustibile a prezzi più bassi di quelli “ufficiali”. Tra questi ultimi spicca al Repubblica Popolare Cinese: la Cina ha bisogno di questo carburante, scontato rispetto ai parametri internazionali, per rifornire il suo settore manifatturiero e sostenere le sue raffinerie di petrolio in crisi, e grazie alla flotta fantasma può farlo aggirando i sistemi finanziari e i servizi di trasporto occidentali. Tuttavia, l’assenza di regolamentazioni non si limita alle implicazioni economiche ma tocca anche quelle securitarie, rendendo più probabile il verificarsi di incidenti capaci di danneggiare l’ecosistema.

Il 19 luglio la petroliera di proprietà cinese Ceres I e un’altra nave cisterna, la Hafnia Nile, si sono scontrate al largo della Malesia nel Mar Cinese Meridionale causando danni significativi a entrambe le imbarcazioni. I membri dell’equipaggio di entrambe le navi coinvolte nell’incidente sono rimasti feriti, ma nessuno è morto. Le autorità malesi hanno dichiarato che la Ceres I aveva avuto “difficoltà tecniche”. Ma gli analisti del settore navale ed energetico sostengono che lo schema dei movimenti della nave prima della collisione suggerisce un’altra spiegazione, ovvero che la Ceres I aveva trasmesso una posizione falsa sui canali di localizzazione delle navi. Le petroliere sono tenute a trasmettere la loro posizione sul sistema di identificazione automatica in modo da poter essere individuate dalle altre navi. Ma le navi che compongono la “flotta fantasma” sono solite mascherare o falsificare la loro posizione nel database del sistema. Anche se non vi sono dati certi, è probabile che sia questa dinamica all’origine dell’incidente che ha visto coinvolte la Ceres I e la Hafnia Nile.

Secondo i dati disponibili, la Ceres era impegnata in un viaggio che dall’Iran l’aveva portata alla città portuale cinese di Ningbo prima di tornare in Medio Oriente, un viaggio di andata e ritorno compiuto già diverse volte nell’ultimo anno. Pechino non ha mai ammesso di importare petrolio sottoposto a sanzioni, ma difende il suo commercio con Paesi come l’Iran: “La Cina conduce una normale cooperazione energetica con altri Paesi in base al diritto internazionale, che è legittima e legale”, ha dichiarato Liu Pengyu, portavoce dell’Ambasciata cinese a Washington.

Ma, nell’agosto dello scorso anno, gli stessi funzionari doganali di Ningbo hanno avvertito in un articolo pubblicato su un giornale di proprietà statale, che le sanzioni occidentali avrebbero spinto un maggior numero di petrolio russo verso le coste cinesi con “flotte oscure” che “rappresentano una minaccia per l’ordine di entrata e uscita marittima del nostro Paese”. Nello stesso periodo, le autorità della provincia di Shandong hanno iniziato a trattenere le petroliere che presentavano problemi di sicurezza.

Secondo Ian Ralby, senior fellow per la governance marittima presso lo Yokosuka Council on Asia-Pacific Studies, una collisione che coinvolge navi come la Ceres I non è “Una questione di sé, ma di quando”. Ralby ha anche specificato che se la Ceres I non avesse appena scaricato il suo carico di petrolio “saremmo di fronte a una catastrofe”.

Nel 2023, il petrolio proveniente da Iran, Venezuela e Russia ha rappresentato il 26% delle importazioni di petrolio della Cina, rispetto al 20% del 2021. Nei primi sette mesi del 2024, questa cifra è salita al 28%. “Finché l’Iran continuerà ad essere sottoposto a sanzioni e finché la Cina continuerà a comprare, questo commercio continuerà”, ha dichiarato Emma Li, analista del petrolio cinese presso la società di analisi energetica Vortexa.

 

 

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