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Come valutare l’appoggio italiano all’Ucraina. L’intervento dell’amm. Caffio

C’è da chiedersi se i nostri alleati, nel non coinvolgerci nel Quintetto di concertazione sul sostegno all’Ucraina, siano realistici, ben sapendo che il nostro ordinamento costituzionale non ci permette di superare, militarmente parlando, certi limiti. L’intervento dell’ammiraglio Fabio Caffio

Le pur valide analisi sulla penalizzazione insita nell’esclusione dell’Italia dal Quintetto di concertazione sul sostegno all’Ucraina nel colpire obiettivi sul territorio russo vanno integrate, a modesto avviso di chi scrive, da considerazioni di natura giuridica.

L’Italia non è in guerra con la Russia, è stato più volte detto da esponenti del nostro governo a significare che la fornitura di armi offensive all’Ucraina rappresenterebbe il superamento di un limite che il nostro Paese non può oltrepassare. Il principio costituzionale del ripudio della guerra  come «mezzo di risoluzione delle controversie» costituisce infatti il principio guida che la Repubblica si è dato in sintonia con la Carta delle Nazioni Unite.

Applicato al conflitto generato dall’aggressione russa all’Ucraina, questo vuol dire che l’Italia non può prendere indirettamente parte alle ostilità, come invece avverrebbe se – anche senza schierare truppe sul territorio russo – dessimo a Kyiv armi a lunga gittata.

Le categorie giuridiche da applicare a questa situazione sono quelle della non-belligeranza e della co-belligeranza. A monte di tutto c’è il principio di neutralità che implica l’assoluta imparzialità tra le Parti in conflitto e che alcuni Paesi come Svizzera, Malta e Austria hanno costituzionalizzato. Il nostro ripudio della guerra non implica l’assunzione di uno status neutrale, quanto piuttosto, come chiarito da illustri accademici, limitazioni a prendere parte a conflitti. Sin dal periodo antecedente la II Guerra mondiale -quando Roosevelt, senza entrare in guerra contro la Germania prese a inviare a Londra consistenti forniture militari – si è andata affermando la non-belligeranza come status intermedio tra neutralità ed intervento in conflitto. L’assistenza militare ne è la caratteristica; la fornitura di armamenti difensivi il confine invalicabile per non divenire co-belligeranti in territorio nemico. La posizione italiana è aderente a questo concetto, anche perché l’Ucraina agisce, secondo l’art. 51 della Carta, in autotutela difensiva di fronte ad un’aggressione.

Se le linee della politica estera italiana sono sempre state – a prescindere dal rispetto degli obblighi derivanti dall’adesione all’Alleanza Atlantica – improntati a tali principi, perché considerare una penalizzazione il non essere tra i partecipanti ad meeting sull’adozione di contromisure antirusse “offensive”?

Tante volte è successo che l’Italia, non invitata ad incontri di concertazione su crisi internazionali – anche in casi di nostro interesse come quelli di Libia ed Iran – si sia realisticamente rassegnata a svolgere ruoli di pacificazione. In molti casi non ci siamo nemmeno proposti, né abbiamo firmato dichiarazioni interventiste. Si pensi alla nostra missione di peace-keeping navale in Mar Rosso ben diversa dalla Prosperity Guardian di Usa e UK. O al modus operandi delle Unità della Marina dislocate nell’Indo-Pacifico, “Cavour” in testa, che non prevede quelle operazioni di contestazione  contro le pretese marittime cinesi che gli Alleati (Germania compresa) hanno invece realizzato. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, piaccia o no, sono ancora le potenze vincitrici che governano la politica mondiale e ricoprono di conseguenza i necessari ruoli militari.

Quanto alla Ue – al netto delle posizioni “belliciste” dell’Alto rappresentante Borrell – la verità è che i trattati fondanti ammettono solo una dimensione militare incentrata su operazioni di mantenimento della pace, escludendo la partecipazione a conflitti armati. D’altronde, le posizioni militari dei membri dell’Unione sono variegate, andando dall’interventismo dell’Olanda al pacifismo di Irlanda e Spagna (che Madrid, forse, si è imposto per propri fini di politica internazionale).

In definitiva, c’è da chiedersi se i nostri alleati nel non coinvolgerci siano realistici, ben sapendo che il nostro ordinamento costituzionale non ci permette di superare, militarmente parlando, certi limiti. Altro problema italiano è naturalmente quello di un’opinione pubblica non del tutto favorevole ad un coinvolgimento delle Forze armate in missioni a rischio. Prova ne è il riaffiorare della vecchia retorica contro la Nato.

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