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Il report di Draghi e il salto di qualità che serve all’Ue. Parla Passarelli

Quando Draghi parla di riforme senza precedenti penso che si riferisca in particolare ai temi legati alla difesa comune, all’esercito comune europeo e alla fiscalità comune. Ecco perché occorrerebbe una riforma dei trattati europei, anziché una riforma costituzionale nel nostro Paese. Conversazione con Gianluca Passarelli, professore di Scienza Politica all’Università La Sapienza

Un salto di qualità senza precedenti. La strada indicata dall’ex numero uno della Bce Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività – illustrato ieri agli ambasciatori Ue per sommi capi e che verrà esposto lunedì nella sua completezza – è quella del whatever it takes. Sono cinque gli ambiti trattati: produttività, riduzione delle dipendenze, clima, inclusione sociale e ricette per i singoli settori sulla base dei principali dossier economici. “Il documento di Draghi, sarà un grande prova per saggiare la capacità della classe dirigente dei singoli Paesi, della Commissione e del Parlamento Europeo sulle sfide centrali per il futuro dell’Unione Europea”. Il commento consegnato a Formiche.net è di Gianluca Passarelli, professore di Scienza Politica all’Università La Sapienza.

Lunedì sapremo nel dettaglio i contenuti del rapporto di Draghi. Che cosa significa dal suo punto di vista mettere alla prova la classe dirigente europea sulle sfide strategiche del futuro?

Sono tanti i dossier che la maggioranza europea si appresta ad affrontare e quando Draghi parla di riforme senza precedenti penso che si riferisca in particolare ai temi legati alla difesa comune, all’esercito comune europeo e – anche quest’ultimo punto è molto importante – alla fiscalità comune. Ecco perché occorrerebbe una riforma dei trattati europei, anziché una riforma costituzionale nel nostro Paese.

Quali le priorità in questo senso?

L’elezione diretta del presidente della Commissione, agire strategicamente – sul nucleare ad esempio – con la Francia. E, sempre alla Francia, chiedere un’eventuale disponibilità a condividere il seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Insomma, essere capaci di agire – come Europa – in modo strategico su fronti caldi come Medio Oriente e Nord Africa e, più in generale, su tutto il bacino del Mediterraneo. Per farlo, però, occorre il salto di qualità di cui Draghi tratteggia i contorni.

La posizione dell’Italia quale deve essere?

Rischiamo di essere in una posizione molto marginale benché avremmo potuto avere tutte le carte in regola per essere invece fondamentali. La trattativa per la presidenza della Commissione è stata condotta in maniera poco lungimirante. Meloni si è fatta risucchiare dalle logiche di contrapposizione interne legate al suo competitor Salvini.

Però con la candidatura di Fitto i rapporti tra conservatori e popolari sono destinati a rinsaldarsi. 

Sì, Fitto è uomo di alleanze ma rischia di essere una candidatura tardiva rispetto a scelte già fatte nella determinazione della governance europea. Prova ne sia che, tra le altre, nell’ambito della trattativa per il Patto di Stabilità non ne siamo usciti benissimo. Se invece Meloni avesse fatto una scelta conservatrice alla Thatcher, probabilmente sarebbe stata più incisiva.

Arriviamo alla manovra. Cosa c’è da aspettarsi, a proposito di sfide?

Mi sembra che sia, nel complesso, una Finanziaria senza identità. Il rapporto fra debito e Pil è devastante e su questo è stato molto chiaro Fabio Panetta. Non c’è redistribuzione, ma d’altra parte non è qualcosa che attiene alla tradizione politica di Meloni. Ma mi pare che su questa linea si perdano anche anche alcuni elementi della cosiddetta destra sociale. Si lanciano solo messaggi a piccoli segmenti della società che il governo ritiene – a torto o a ragione – un bacino di voti da coltivare.

Come si prospetta, in particolare per il campo largo del centrosinistra, la sfida per le Regionali?

Mi pare che al momento si navighi più che altro a vista. Presumo che, anche in funzione del sistema elettorale, si arriverà a un’alleanza di cartello sui territori. Ma la mia impressione è che la naturale collocazione di Renzi non sia quella del campo largo. Non è tipo da fare il gregario.

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