C’è un’intesa Est-Ovest per una roadmap con cui risolvere la crisi attorno alla Banca centrale libica, e far ripartire le produzioni di petrolio. Il Paese è pronto per compromessi politici, oppure è solo un rimandare decisioni e prendere tempo?
L’annuncio di un accordo tra le due principali fazioni politiche rivali in Libia, per decidere insieme la nomina di una nuova leadership alla guida della Banca Centrale Libica (Cbl), rappresenta un passo fondamentale per risolvere lo stallo economico e politico che ha paralizzato il Paese negli ultimi anni, giunto con la vicenda dell’istituto a una situazione di particolare tensione. Questo accordo, mediato dalle Nazioni Unite tramite la missione Unsmil, apre nel breve uno spiraglio per la ripresa delle attività petrolifere e nel lungo termine potrebbe segnare una svolta significativa nelle lunghe divisioni interne.
La roadmap dell’accordo
Secondo le informazioni pubblicate per primo da Bloomberg, le due istituzioni legislative – il Consiglio di Stato con sede a Tripoli e la Camera dei Rappresentanti di Tobruk – hanno concordato di nominare un nuovo governatore della Cbl e un consiglio direttivo entro 30 giorni. L’intesa mira a sbloccare la produzione petrolifera, fortemente ridotta a causa del conflitto politico che vede contrapposte le due fazioni. Le trattative continueranno fino al 9 settembre, con l’obiettivo di consolidare questo primo passo verso una risoluzione più ampia.
Tuttavia, questo accordo sembra più un compromesso per guadagnare tempo che una vera soluzione alla crisi. Le parti si sono essenzialmente concesse un mese per risolvere la questione, invece di risolverla “oggi”. Inoltre, sono già emerse voci che indicano la possibilità di un’ulteriore estensione del processo: “In caso di disaccordo, il comitato ad interim (dei 30 giorni) sarà esteso per altri 30 giorni”, spiegano le fonti e “già questo suggerisce che la roadmap potrebbe subire ritardi ulteriori, rendendo più difficile una risoluzione“.
Le implicazioni per l’economia e il petrolio
La Banca Centrale è al centro della battaglia per il controllo delle risorse energetiche del Paese, che sono il principale motore economico della Libia. Le divisioni tra est e ovest si riflettono non solo in questioni politiche ma anche nella gestione delle disponibilità petrolifere, con il blocco della produzione che ha ridotto l’output nazionale da 1,2 milioni di barili a meno della metà. Il petrolio, infatti, non è solo un bene economico, ma anche un’arma strategica in questa lunga disputa. La fazione orientale, che controlla i principali terminali di esportazione di petrolio, ha utilizzato questa leva per far pressione su Tripoli.
Il governo occidentale di Abdelhamid Dabaiba dovrebbe accettare di mantenere o riportare temporaneamente in carica la “vecchia guardia” della Banca Centrale, dopo uno slancio per sostituire la leadership. Il governo orientale sotto il controllo militare di Khalifa Haftar dovrebbe sentirsi sufficientemente in grado di far prevalere la propria scelta per la prossima leadership della Cbl, anche senza fare leva sul blocco del petrolio. Se queste condizioni non verranno soddisfatte, il rischio è che il processo si prolunghi ulteriormente, rendendo ancora più complesso un compromesso a breve termine.
Una peculiarità
L’attuale blocco del petrolio in Libia presenta una caratteristica problematica rispetto a situazioni simili già vissute nel Paese: per la prima volta c’è il rischio che diverse centinaia di migliaia di barili di greggio estratto dai giacimenti di Mesla-Sarir non vengono più venduti dalla Noc (la National Oil Corporation, a controllo statale), ma da una società privata con sede a Bengasi, la Arkenu.
La dinamica che ha portato la società all’attenzione internazionale, non più tardi di luglio, la spiega Agenzia Nova. È uno scenario molto delicato. L’eventuale cessazione delle esportazioni regolari dalla NOC potrebbe essere utilizzata dalla famiglia Haftar non solo per i propri ricatti — come avvenuto più volte in passato — ma questa volta anche per creare interessi diretti. Tra l’altro, la petroliera Energy Triumph noleggiata dalla cinese Unipec è ora vicina al terminal di Harriqa e dovrebbe caricare un carico da 1 milione di barili.
Una sfida politica e istituzionale
Nonostante l’accordo sembri rappresentare una svolta, rimangono numerosi ostacoli dunque. La Libia è politicamente frammentata dal 2014, e il sistema istituzionale è estremamente fragile. Le elezioni, previste inizialmente con l’accordo di cessate il fuoco del 2020, non si sono ancora svolte, e la situazione rimane instabile. Sadiq al Kabir, in carica dal 2011 alla Cbl, è una figura controversa: da un lato gode del sostegno haftariano in questo momento, dall’altro è accusato di malagestione e corruzione. Accuse che hanno inasprito ulteriormente le relazioni con il premier di Tripoli, Dabaiba, che ha cercato di farlo fuori. Un altro potenziale candidato alla guida della Cbl, Mohamed Abdel Salam al Shukri, ha rifiutato l’incarico, affermando che accetterà solo con l’appoggio congiunto delle due fazioni. Questo sottolinea quanto sia difficile trovare una figura di consenso in un contesto di divisioni profonde.
“L’accordo rappresenta una rara finestra di opportunità per la Libia. Se portato a termine, potrebbe contribuire a sbloccare la produzione petrolifera e stabilizzare una parte cruciale dell’economia del Paese”, spiega una fonte. Tuttavia, aggiunge, “ l’instabilità politica e le divisioni interne continuano a rappresentare ostacoli significativi. La Libia si trova ancora una volta di fronte a una sfida esistenziale: riuscirà a superare le sue divisioni interne e trovare un equilibrio per una ripresa economica e politica sostenibile?”.