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Nuova governance europea, terremoto finanziario e istituzionale. L’analisi di Polillo

Dal piano economico-finanziario a quello di natura politica e istituzionale, Gianfranco Polillo analizza impatti e conseguenze delle nuove regole della governance europea sull’Italia

Sono ancora tante le incertezze legate alle nuove regole della governance europea, che hanno mandato in soffitta il vecchio Patto di stabilità e crescita. Il passaggio tra il vecchio e il nuovo, ad esempio, non è definito con la necessaria certezza. Ne deriva che nel caso di quei Paesi, come l’Italia in “procedura d’infrazione per deficit eccessivo”, non è del tutto chiaro quale regime dovrà essere applicato. Le vecchie procedure che comportano una manovra più blanda, o le nuove sul contenimento del debito, decisamente più gravose. In termini quantitativi si passerebbe da una stretta dello 0,3/0,5 del Pil ad una dell’1 per cento. Non proprio una bazzecola.

Altro elemento di incertezza il disallineamento temporale. Sempre nel caso italiano, i conti si faranno sul vecchio quadro statistico. L’Istat, infatti, fornirà le nuove cifre (Revisione generale dei conti nazionali 2024: anni 1995 – 2023) il prossimo 23 settembre, sulla base di un calendario internazionale da tempo concordato. Il Piano strutturale del bilancio a medio termine, invece, che rappresenta il cuore della manovra, dovrà essere inviato a Bruxelles il 20 settembre. Dopo aver dato al Parlamento almeno il tempo di dargli un’occhiata.

“L’impatto delle eventuali revisioni, – ha detto, rassicurante il direttore generale del Tesoro, nella sua audizione parlamentare dello scorso 22 maggio – presumibilmente trascurabile, sarà comunque comunicato al Parlamento”. Sarà un “de minimis”? Per l’Istat, invece, “attualmente è in corso una revisione importante degli standard internazionali” (Nota del 6 agosto). Tesi non proprio collimante con quella riportata in precedenza. Comunque inutile spaccarsi la testa. L’entità degli eventuali scostamenti potranno essere valutati, solo a tempo debito. Ed allora si vedrà chi aveva torto o ragione.

Lo scarso rilievo dato agli episodi ricordati testimonia una notevole disattenzione da parte di coloro che regolarmente si occupano di politica. Addetti ai lavori, giornalisti, deputati e senatori. E via dicendo. Una lacuna grave che lascia intravedere una completa sottovalutazione delle conseguenze che l’operare dei nuovi meccanismi avranno sulla situazione economica (ma non solo) italiana.

Per quanto riguarda la finanza pubblica, per la prima volta, sono state varate norme realistiche ai fini del progressivo contenimento del debito pubblico. Problema, non a caso richiamato dal Presidente Mattarella, nel suo intervento in quel di Cernobbio. Le regole precedenti erano, invece, talmente assurde, da richiedere la loro tacita abrogazione. Postulavano interventi correttivi che, nel caso italiano, avrebbero potuto raggiungere un valore pari al 4 per cento del Pil, per diversi anni.

Con le nuove regole, invece, si scende verso un valore massimo dell’1 per cento del Pil, al lordo della riduzione indotta dalla sua crescita nominale, che già agisce nella stessa direzione. La nuova governance europea sarà pertanto meno manichea, ma costantemente monitorata da Bruxelles. Con la definizione di una procedura destinata ad impedire possibili manipolazioni, come quelle che caratterizzarono le vicende greche alla vigilia della grande crisi.

Com’è noto il Piano strutturale di bilancio segnerà l’orizzonte dell’intera legislatura. Gli aggiornamenti annuali, con le conseguenti decisioni parlamentari, dovranno essere contenute all’interno dei parametri fissati dalla traiettoria della spesa aggregata netta stabilita, salvo casi eccezionali comunque regolamentati. Il Documento programmatico di bilancio – oggetto della decisione parlamentare annuale – non potrà che intervenire al margine delle grandi leggi di spesa, salvo decidere un aumento corrispondente delle entrate fiscali.

Lo scorso anno – secondo le indicazioni della Ragioneria generale dello Stato (22 maggio 2024) – la spesa statale, che è solo pari al 29% (23% al netto degli effetti dei bonus per l’edilizia) di quella complessiva, è stata “definita per oltre il 90% da meccanismi o parametri normativi che ne determinano l’evoluzione (oneri inderogabili) o da specifiche disposizioni di legge (fattori legislativi)”. Per un totale complessivo di 813 miliardi. Ne consegue che la manovrabilità di bilancio si riduce, nel caso di invarianza del Pil, a meno di 10 miliardi di euro l’anno. Di cui una buona parte dovrà essere assorbita dalla manovra annuale di contenimento del debito.

Le conseguenze sul piano economico-finanziario non saranno certo di poco conto. Nulla a che vedere, tuttavia, con quelle di natura politica e istituzionale. Il relativo impatto sarà, infatti, tale da somigliare ad una vera e propria riforma di carattere costituzionale, intervenendo in quei campi in cui, negli anni passati, era fallito ogni tentativo di intervento. Le nuove regole rafforzeranno il potere esecutivo – questo il primo effetto – ridimensionando quello del Parlamento. Misure come quelle relative al salario di cittadinanza o ai bonus edilizi risulteranno, infatti, improponibili.

La legislazione, una volta definito il programma di legislatura, poi convalidato dalla Commissione europea, diverrà vincolante negli anni successivi, salvo l’eventuale cambio di governo. In questo nuovo contesto il ruolo del presidente del Consiglio sarà inevitabilmente potenziato. Dovrà mantenere un occhio più che vigile sulle dinamiche finanziarie, lasciando al ministro dell’Economia compiti principalmente operativi.

Conflitti, come quelli che si sono visti nelle passate legislature, non potranno avere diritto di cittadinanza.
Avremo quindi una torsione della forma di governo in senso presidenziale, rispetto al parlamentarismo un po’ esasperato dell’esperienza italiana. Qualcosa di più vicino alla riforma istituzionale, voluta da Giorgia Meloni, che il Parlamento sta ancora discutendo. Purtroppo male: vista la contrapposizione tutta ideologica tra destra e sinistra, che rischia di produrre un piccolo mostriciattolo. Partendo da Bruxelles si dovrebbero pertanto introdurre quei correttivi che saranno indispensabili ai fini della governance economica-finanziaria degli anni a venire.

Una seconda conseguenza riguarderà il modo di funzionare del sistema politico. Che dovrà strutturarsi lungo un asse di lungo periodo, in grado di dare continuità all’azione di governo, anche oltre l’orizzonte temporale delle singole legislature. Le vecchie categorie di “destra” e “sinistra” rimarranno, ma si caratterizzeranno sempre più per un’azione al margine. Destinate ad incidere sulla parte non vincolata della spesa pubblica dalle decisioni del passato: rappresentate dagli oneri inderogabili e dai fattori legislativi. L’effetto ultimo sarà quindi una convergenza-concorrenza al centro. Con i vecchi miti identitari destinati ad essere progressivamente accantonati, a causa della carenza dei fondi necessari per poter dar loro concreta esistenza.

Il maggior condizionamento economico-finanziario avrà quindi l’effetto di semplificare molto la lotta politica, rendendo centrale il problema della crescita economica e del modo di incrementarla. Da quella spinta, infatti, deriveranno quelle risorse aggiuntive destinate a rendere più rapido il percorso di bonifica del debito, per restituire al sistema politico quei margini di libertà che, altrimenti, sono confiscati dalle esigenze del risanamento.

Questi, quindi, alcuni dei possibili effetti. Altri se ne potrebbero individuare, chiosando sulle singole norme che regoleranno la complessa procedura, che sta per abbattersi sulle disastrate condizioni della finanza pubblica italiana. La materia, come si vede, merita un’attenzione meno distratta di quella che finora è stata prevalente. Ovviamente c’è tempo per recuperare il tempo perduto. Ma bisogna farlo in fretta per evitare di creare precedenti destinati a trasformarsi in cattive prassi. Che sarà poi difficile correggere.



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