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Pirati dello spazio. Ecco lo spazioplano cinese che può rapire i satelliti

Di Riccardo Leoni

Dopo una missione di dieci mesi, è rientrata la terza missione in orbita del segretissimo spazioplano cinese, capace di agganciare i satelliti nello spazio. Una prospettiva che preoccupa, dal momento che Pechino potrebbe impiegare il nuovo sistema per togliere dall’orbita o rapire i satelliti di altre nazioni

Uno spazioplano in grado di entrare in orbita, come uno Space shuttle, e di agganciare e recuperare i satelliti oltre l’atmosfera. È quanto promette di fare lo spazioplano sperimentale cinese rientrato dalla sua terza missione in orbita, come confermato da un report del media di Stato cinese, Xinhua. Il rientro non è stato accompagnato da ulteriori dettagli sulle operazioni svolte, né tantomeno da immagini del velivolo, che rimane un progetto a elevato grado di riservatezza. La missione, iniziata il 14 dicembre 2023 con il lancio di un razzo Long March 2F dal Centro di lancio satellitare di Jiuquan, ha avuto una durata complessiva di 267 giorni e si sarebbe focalizzata sulla sperimentazione di tecnologie di volo spaziale riutilizzabili. Il velivolo, una volta arrivato in orbita, avrebbe condotto una gamma di attività, tra cui operazioni di raccordo e prossimità (Rendez-vous and proximity operations — Rpo). Queste operazioni consistono nell’avvicinamento e agganciamento di altri oggetti in orbita — per lo più satelliti — a scopi di manutenzione e controllo dell’integrità strutturale.

Il velivolo orbitale cinese avrebbe anche la capacità di rapire i satelliti altrui. Per l’appunto, la conduzione di operazioni di raccordo e prossimità potrebbe anche avere lo scopo di testare la capacità per lo spazioplano di agganciare satelliti altrui, di accedere ai loro sistemi e addirittura spostarli dalla loro orbita. In un’epoca in cui i dati di Intelligence, le comunicazioni e la possibilità di osservare il pianeta dipendono pesantemente dai satelliti orbitanti, la capacità di interferire cineticamente con le loro attività costituisce un game changer non indifferente e si interseca inevitabilmente con la sicurezza del dominio spaziale. Benché il comunicato rilasciato dalle autorità cinesi abbia sottolineato che la missione avesse come unico scopo quello di testare metodi di rientro più economici “per il pacifico utilizzo dello spazio”, l’elevato grado di segretezza porta a porsi degli interrogativi circa le possibili applicazioni militari.

Nei piani della China aerospace science and technology corporation (Casc), azienda controllata dallo Stato e primo contractor del programma spaziale cinese, il velivolo orbitale dovrebbe essere in grado di cooperare con uno stadio suborbitale riutilizzabile, simile a quelli adoperati da Space X. Combinati insieme, i due dispositivi costituirebbero un unico sistema di trasporto spaziale riutilizzabile in due stadi, in grado di realizzare voli di andata e ritorno dall’orbita. Questo rappresenterebbe un netto salto di qualità per il programma spaziale cinese, specialmente nel campo del supporto e rifornimento alla stazione spaziale orbitante Tiangong. 

Quella rientrata il 5 settembre è la terza missione in orbita per lo spazioplano di Pechino. La prima missione, lanciata nel 2020, era durata appena due giorni, mentre la seconda 276. In entrambe le occasioni, lo spazioplano avrebbe portato in orbita un satellite prima di rientrare. L’accelerazione nei tempi di sviluppo e negli intervalli tra i lanci sottolineano l’urgenza cinese di non restare indietro nella corsa per il cosmo. 

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