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Via libera agli strike ucraini in Russia? Il dibattito in Occidente letto dal gen. Jean

L’uso di missili a lungo raggio come gli Storm Shadow e gli Atacms potrebbe cambiare le sorti del conflitto ucraino, ma gli Stati Uniti frenano, temendo l’escalation. Tra successi contro la Flotta del Mar Nero e lo sviluppo di nuove tecnologie, Kyiv guarda avanti, ma resta bloccata dall’incertezza strategica e dai timori di un confronto diretto tra Occidente e Russia. Il commento del generale Carlo Jean

Venerdì, il presidente americano Joe Biden e il primo ministro britannico Keir Starmer hanno discusso il tema dell’autorizzazione all’Ucraina per colpire in profondità le basi militari russe con i sistemi Storm Shadow (e con gli equivalenti Scalp), consegnati dal Regno Unito (e dalla Francia) a Kyiv. Hanno una gittata utile di 250 chilometri: potrebbero colpire dalle attuali posizioni circa 250 obiettivi sensibili russi (di cui 17 basi aeree). Ma il loro uso è stato proibito dagli Stati Uniti, timorosi di un’estensione del conflitto. Lo hanno potuto impedire, dato che montano dispositivi di movimento e selezione obiettivi americani. Gli Stati Uniti hanno vietato anche l’uso sul territorio russo dei loro missili Atacms con gittata di 300 chilometri, che potrebbero fornire in rilevante quantità. Ne hanno dati a Kyiv solo taluni in versione ridotta, con gittata di 160 chilometri. Secondo taluni esperti, la capacità ucraina di deep strike muterebbe l’andamento delle operazioni e i rapporti di forza, infliggendo ai russi notevoli perdite, specie ai loro sistemi logistico e di comando e controllo. Secondo altri – con cui concordo – aumenterebbe certamente le perdite dei russi, ma non muterebbe la natura della guerra. I russi rimarrebbero superiori in uomini e mezzi. La guerra continuerebbe a essere d’attrito. La rottura del fronte ucraino sarebbe ritardata e resa più costosa per Mosca, ma rimarrebbe inevitabile. Comunque, il dubbio sull’efficacia del deep strike rimane e condiziona la valutazione dell’accettabilità del rischio conseguente alla sua attivazione.

L’incontro tra Biden e Starmer si è concluso senza prendere una decisione. Gli Stati Uniti sono rimasti fermi sulla loro convinzione che il deep strike provocherebbe un’escalation e la materializzazione delle minacce che, come al solito, il Cremlino ha fatto ogni volta che i sostenitori dell’Ucraina hanno superato una delle “linee rosse”, da loro stesse impostesi e con cui si sono legate le mani. Molte sono state superate senza conseguenze (per esempio quella relativa alla cessione a Kyiv di carri armati, di missili Himars e ora di F-16), talché quasi tutti sostengono che le minacce del Cremlino siano semplici “bluff” e che le armi nucleari sconsideratamente agitate siano semplici “tigri di carta”. Contestano pertanto l’essenza della strategia decisa da Biden nel sostegno all’Ucraina, essa – pur dichiarando che il sostegno è incondizionato – ne subordina qualità ed entità alla priorità di evitare un’escalation con la Russia. È una strategia di sostenere l’Ucraina “as long as it takes” e non “whatever il takes” – cioè di aiutare l’Ucraina a resistere, ma non a vincere, infliggendo ai russi perdite che prima o poi li inducano a trattare, dato che diventano intollerabili. È una strategia che assume la possibilità che il Cremlino ritenga che a un certo punto le perdite divengano intollerabili, dato che nell’“operazione militare speciale” non è in gioco la sopravvivenza della Russia, come lo è quella dell’Ucraina. Sfortunatamente lo è però quella del potere politico di Vladimir Putin. Qualsiasi accordo di pace che tenterà Donald Trump – se eletto presidente degli Stati Uniti – sarà particolarmente difficile, dato che dovrà conciliare la necessità di consentire a Putin di cantare vittoria e all’Ucraina di sopravvivere con garanzie di sicurezza adeguate. In ogni caso, la strategia statunitense dovrà mutare. Non potrà consentire al Cremlino di mantenere il dominio della minaccia di escalation, come avviene oggi.

Tornando al deep strike va notato che l’Ucraina lo sta già praticando, non solo con particolare successo contro la Flotta russa del Mar Nero, ma anche con droni sempre più sofisticati a maggiore gittata, specie contro raffinerie e depositi carburanti. Oggi, sta effettuando un notevole sforzo tecnologico e industriale per potenziare tali sue capacità, costruendo anche un missile balistico. Malgrado il sostegno occidentale, i risultati potranno essere solo marginali nell’economia generale del conflitto. Impatti di rilievo – anche se forse non decisivi – potrebbero derivare da un massiccio invio di Atacms e dal loro impiego di sorpresa e a massa sulle forze russe. Solo in tal modo, potrebbe essere superata la frustrazione ucraina che la strategia occidentale più che a sostenere gli obiettivi di integrità territoriale e di sovranità di Kyiv sia volta in realtà – come dice Lucio Caracciolo – a perseguire l’interesse occidentale di “logorare la Russia fino all’ultimo ucraino”, strategia più che evidente nell’eccessiva cautela americana e di molti europei di evitare rischi che appaiono sempre più inesistenti, anche perché rimane funzionante il sistema dissuasivo esistente nella Guerra fredda.

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