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Stavolta vince Google. Cosa ha deciso il Tribunale Ue

La sentenza fa riferimento al caso della piattaforma AdSense, risalente al 2019. I giudici hanno accolto le motivazioni del braccio esecutivo europeo, ma hanno cancellato la maxi ammenda in quanto non avrebbe dimostrato che la sua opera era volta a persuadere gli editori contro i concorrenti di Big G

“Il Tribunale dell’Ue conferma la maggior parte delle conclusioni della Commissione, ma annulla integralmente la decisione con cui quest’ultima ha inflitto a Google un’ammenda di quasi 1,5 miliardi di euro in quanto, tra l’altro, non ha preso in considerazione tutte le circostanze pertinenti nella valutazione della durata delle clausole contrattuali che la commissione aveva ritenuto abusive”. Uno a uno palla al centro. La metafora calcistica forse non è la più centrata, ma dopo la vittoria dell’Unione europea della scorsa settimana, questa volta è Google a esultare in aula di giustizia. Come si legge nella sentenza, il Tribunale non ha sconfessato in toto la Commissione, che nel marzo del 2019 aveva riscontrato tre infrazioni distinte tra il 2006 e il 2016 da parte di Big G che, sommate, ne formavano una sola per abuso di posizione dominante con Google AdSense for Search, motivo per cui gli aveva inflitto la multa monstre – di cui 13.135.475 euro affibbiati ad Alphabet, sua società madre. Tuttavia, l’esecutivo europeo non avrebbe dimostrato che le tre clausole costituissero ognuna un abuso di posizione dominante e, nell’insieme, una violazione unica dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (Tfue).

Più nello specifico, la Commissione non avrebbe portato prove concrete sul fatto che l’opera di Google avrebbe persuaso gli editori a rifornirsi dagli intermediari concorrenti al gigante di Mountain View o che fosse tale da impedire a questi di accedere a una parte significativa del mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca online nello spazio economico europeo. In sostanza, quindi, che venissero escluse.

AdSense è una piattaforma pubblicitaria gestita da Google da oltre vent’anni, specializzata nei servizi di intermediazione (Afs) con cui gli editori di siti web contenenti motori di ricerca integrati di visualizzare annunci pubblicitari collegati alle ricerche online che gli utenti potevano inviare su questi siti. Tale modus operandi permetteva loro di monetizzare grazie alla visualizzazione di questi annunci. Chi incassava di più, inoltre, poteva contrattare con Google un “Google Service Agreement” (Gsa), in cui c’erano clausole che tendevano ad escludere, o quantomeno limitare, gli annunci degli altri concorrenti. Tra questi – seguendo la scia di reclami tra il 2010 e il 2017 – un’azienda tedesca e le più grandi Microsoft, Expedia e Deutsche Telekom.

Dopo l’intervento della Commissione, che nel 2016 aveva avviato un procedimento in cui aveva riscontrato l’illegalità di alcune clausole del Gsa (quella di “esclusività”, di “collocamento” e di “autorizzazione preventiva”), Google le ha rimosse o modificate. Poi la sentenza del 2019, con cui Bruxelles aveva inflitto una multa da 1,49 miliardi di euro.

Infine quella di oggi, con il capovolgimento della situazione che segna un punto a favore di Google. Dalla Commissione per ora non arriva alcun commento, in quanto prima vogliono studiare la sentenza. Perché la partita è tutt’altro che chiusa, potendo ricorrere alla Corte di Giustizia europea. Lì si metterà la parola fine al caso.



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