“Taiwan è una delle democrazie più sviluppate nell’Asia orientale e meridionale, e che ha un ruolo cruciale nell’Indo Pacifico”, dice Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, commentando la risoluzione con cui si impegna il governo italiano a sostenere l’inclusione taiwanese nel sistema dell’Onu
La campagna con cui Taiwan chiede l’inclusione nel sistema onusiano nell’ambito delle attività dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2024, in corso questi giorni, incontra il consenso del Parlamento italiano. Con una risoluzione presentata dal vicepresidente Paolo Formentini, la Commissione Affari Esteri e Comunitari ha votato per “impegnare” il governo italiano a “intraprendere iniziative al fine di sostenere la partecipazione significativa di Taiwan alle agenzie e ai meccanismi specializzati delle Nazioni Unite”.
La risoluzione, sostenuta dall’intera maggioranza e passata ieri con voto unanime, parla esplicitamente di includere Taipei nella Organizzazione mondiale della sanità, nell’Organizzazione internazionale per l’Aviazione civile internazionale e nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, “in qualità di membro nei casi in cui la statualità non costituisca un requisito per la membership e come osservatore od ospite laddove lo sia, e sostenendo inoltre ogni iniziativa volta alla cessazione dell’isolamento diplomatico di Taiwan”.
L’isolamento diplomatico di Taiwan è il tema centrale, spiega Formentini a Formiche.net. “Noi sappiamo invece che Taiwan è una delle democrazie più sviluppate nell’Asia orientale e meridionale, e che ha un ruolo cruciale nell’Indo Pacifico, ha stretti legami economici, culturali e politici con molti Paesi della regione, inoltre vediamo anche che negli ultimi anni l’Unione europea e diversi Stati membri hanno intensificato e sviluppato con Taiwan solide relazioni”.
Formentini ricorda i successi dell’isola governata da Lai Ching-te in settori cruciali: “Banale menzionare il mondo dei semiconduttori (dove le aziende taiwanesi hanno una capacità sostanzialmente egemonica, ndr), ma c’è anche la sicurezza sanitaria, l’approccio alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici, la digitalizzazione e il settore dell’AI, inoltre anni di gestione delle incursioni aeree militari cinesi hanno creato expertise specifiche taiwanesi anche sul controllo dei traffici aerei”.
La campagna di riconoscimento che Taiwan sta conducendo è stata anticipata su Formiche.net dal ministro degli Esteri Lin Chia-Lung, e poi oggetto di un ragionamento dell’ambasciatore a Roma, Vincent Tsai. Essenzialmente si concentra sulla distorsione della Risoluzione Onu 2758 da parte della Repubblica Popolare Cinese (Prc), che la utilizza per sostenere il proprio ”principio di una sola Cina”. Parte della strategia del Partito comunista cinese per rendere più facile la futura annessione del Paese, autonomo de iure, ma considerato una provincia ribelle dalla dottrina politica storica di Pechino, ruota attorno all’isolamento diplomatico prodotto anche tramite questa manipolazione.
Ma è una dinamica che mette a rischio lo status quo nello Stretto di Taiwan, minacciando la pace e la stabilità nella regione indo-pacifica. “È invece fondamentale sempre quando parliamo di Taiwan tenere a mente che l’obiettivo di ciò che facciamo è mantenere la pace, lo status quo e la libertà di navigazione”, aggiunge Formentini.
Per i taiwanesi, a tale scopo è fondamentale che le Nazioni Unite agiscano per contrastare tale narrazione strategica e che gli Stati membri si impegnino a sostenere lo spirito della Carta delle Nazioni Unite. La risoluzione 2758, infatti, si limita a regolare la rappresentanza della “Cina”’nelle Nazioni Unite e non riguarda in alcun modo lo status politico di Taiwan, né concede alla Prc il diritto di rappresentare il popolo taiwanese.
Secondo diverse normative internazionali e pareri legali, tra cui quelli dell’Ufficio per gli affari legali del Segretariato delle Nazioni Unite, la risoluzione non ha alcun potere giuridicamente vincolante sugli Stati membri. Le interpretazioni distorte della risoluzione 2758 da parte della Prc sono utilizzate per escludere Taiwan dalle Nazioni Unite, nonostante questa risoluzione non menzioni nemmeno Taiwan. Come si concilia la continua pressione di Pechino affinché gli Stati membri adottino la sua interpretazione unilaterale con il diritto sovrano di questi ultimi di determinare autonomamente le loro relazioni con Taiwan?
Scelte come quelle della Commissione sono indicative di tali equilibri. Anche perché la domanda ultima è questa: le azioni diplomatico-culturali cinesi rischiano di creare un pretesto legale per un’eventuale invasione militare di Taiwan? Non esiste una risposta chiara al momento, ma la speculazione che segue l’analisi dei fatti porta a dire che, mentre Pechino continua a parlare di “riannessione pacifica” (anche se la Repubblica di Cina non è mai stata parte della Repubblica popolare), l’Esercito di liberazione popolare sta portando avanti una generale preparazione tattica e strategica alla guerra.
Tra queste strategie c’è anche la creazione di un sistema di pressioni psicologiche per indurre i taiwanesi a sentirsi cinesi (anche se il risultato è per ora opposto) e di coercizioni più o meno sfumate per evitare che l’esistenza di Taiwan venga riconosciuta dalla Comunità internazionale. Maggiori legami crea Taipei, infatti, più è complicato annullarne l’esistenza, o in futuro procedere con l’annessione. Questo perché i legami esterni contribuiscono anche alla crescita dello spirito nazionale taiwanese e dunque minano la prima direttrice strategica cinese.
L’esclusione di Taiwan dal sistema delle Nazioni Unite contrasta con il tema dell’Assemblea Generale di quest’anno, “Non lasciare indietro nessuno”, che è anche il principio centrale della “Agenda 2030” per lo sviluppo sostenibile. La falsa rappresentazione della risoluzione 2758 è la causa principale di questa esclusione ingiustificata. Taiwan, con i suoi 23,5 milioni di abitanti, continua a essere lasciata indietro nonostante i numerosi contributi che potrebbe offrire alla Comunità internazionale, e nonostante le collettività taiwanesi chiedano quel riconoscimento all’Onu.