Mentre le crisi regionali si moltiplicano, gli Stati Uniti mantengono la loro attenzione sull’Indo Pacifico e sull’eventualità di un conflitto con la Cina. Se l’aumento di investimenti nella Difesa da parte dei principali partner e alleati degli Usa nell’area cerca di intercettare il costante aumento di naviglio cinese, Washington deve fare i conti con il rallentamento della propria cantieristica e con la prospettiva di conflitti futuri sempre più caratterizzati dalla quantità dei mezzi oltre che dalla qualità
Diversamente da come accade in Europa, dove le discussioni intorno alla Difesa hanno iniziato solo recentemente a registrare il profondo mutamento dei contesti securitari odierni, negli Stati Uniti ci si interroga costantemente su cosa dovesse accadere in caso di conflitto, specialmente con la Cina. Dopo decenni passati a ridurre gli organici e a concentrarsi su pochi sistemi altamente tecnologici, la guerra d’Ucraina e la possibilità di uno scontro tra grandi potenze hanno riportato l’attenzione su numeri e capacità di sostenere un conflitto sul lungo termine. In questo contesto si inserisce il Navy navigation plan 2024, redatto dal Chief of naval operations della Us Navy (l’equivalente del capo di Stato maggiore della Marina), l’ammiraglio Lisa Franchetti, che punta a rendere gli Stati Uniti pronti al combattimento con la Cina entro il 2027.
Il contesto operativo
Gli Stati Uniti possiedono la più potente flotta al mondo, comprensiva di 293 vascelli e con grandi capacità di proiezione globale, tuttavia questi numeri e queste capacità vanno “spalmate” sull’intero pianeta. La Cina, dal canto suo, possiede più navi degli Usa e può concentrarle in una porzione di spazio molto più ridotta. Infatti, benché non ancora certa di poter sostenere uno scontro totale con le Forze armate Usa, la Cina sta focalizzando i suoi sforzi sul raggiungimento delle capacità che le permetterebbero quantomeno di raggiungere un’egemonia tattica regionale nell’Indo-Pacifico. Il presidente cinese Xi Jinping ha più volte dichiarato che intende essere pronto a uno scontro nei mari cinesi entro il 2027, tenendo un occhio fisso sull’isola di Taiwan. In questa cornice si inserisce il piano della Marina Usa che si prefigge di conseguire due obiettivi strategici: essere pronti a una guerra con la Cina nel 2027 e accrescere il vantaggio di lungo termine della Marina. Per ottenere questi risultati la Marina statunitense dovrà concentrarsi da un lato sulle capacità di schieramento rapido e preparare le infrastrutture necessarie a condurre operazioni marittime distribuite, e dall’altro ridurre i ritardi nella manutenzione della flotta e integrare sistemi a pilotaggio remoto per accrescerne la massa. Inoltre, i possibili scenari operativi nella regione dell’Indo-Pacifico implicano la possibilità di combattere in aree arcipelagiche e litoranee — in cui la Marina Usa non combatte dalla seconda guerra mondiale — contro un avversario numericamente superiore e appoggiato da forze di terra sul continente.
Di cosa c’è bisogno
“Più navi e più forza letale”. L’obiettivo, per il 2027, è di raggiungere le 380 navi pronte all’impiego, tuttavia le difficoltà che il settore cantieristico statunitense sta affrontando impediscono agli Usa di puntare ad aumentare rapidamente la flotta con equipaggio. L’impiego su vasta scala di droni navali potrebbe però ridurre lo scarto con la Marina cinese. In attesa dello sviluppo di grandi battelli unmanned, sistemi più piccoli, autonomi e producibili in massa costituirebbero una forza utile a impegnare grosse formazioni avversarie, lasciando i vascelli più grandi liberi di concentrarsi su altri obiettivi. Inoltre è cruciale rafforzare le capacità anti-sottomarino per proteggere le portaerei, vero vantaggio strategico Usa, dalle minacce underwater. Coordinare e condurre simili formazioni, numericamente più consistenti rispetto al passato, richiederà un grande sforzo sul piano della superiorità informativa per garantire che la catena di comando e controllo (C2) operi adeguatamente. Per questo la Marina Usa pensa allo sviluppo di centri operativi marittimi (Moc), per accelerare il processo decisionale e il coordinamento interforze. La Marina non sarebbe infatti da sola in questo scontro, potendosi avvalere del supporto dell’Aeronautica e del neoriconfigurato corpo dei Marine. I Marine Usa, che nelle ultime decadi si erano configurati come una forza di terra per operazioni in profondità, sta attraversando una fase di ritorno alle sue origini di forza anfibia, dismettendo mezzi pesanti e articolandosi in formazioni più piccole, in grado di spostarsi rapidamente in aree arcipelagiche per fornire supporto alla Marina, con l’ausilio di droni ricognitivi e sistemi anti-nave mobili. Anche i reclutamenti, recentemente in rialzo, giocano un ruolo essenziale nel tenere le navi statunitensi pronte a schierarsi, soprattutto con poco preavviso, e a operare a piena capacità. Secondo il piano dell’ammiraglio Franchetti, la Marina dovrà essere pronta a impiegare l’80% delle proprie forze in tempi rapidi e questo implica dover ridurre i tempi della manutenzione, drasticamente in ritardo, e accelerare sulla produzione di sistemi autonomi. Secondo l’analista navale Bryan Clark, che ha revisionato il documento, l’obiettivo di essere pronti rapidamente a uno scontro ad alta intensità è corretto, ma i vincoli di budget sollevano dubbi sull’effettiva possibilità di esserlo per il 2027: “Una Marina da 380 navi richiede un budget superiore del 20%… Fondamentalmente, la Marina è su una traiettoria insostenibile in termini di costi. L’obiettivo è probabilmente sbagliato se non irraggiungibile”.