In Italia il tifo “pacifista” è trasversale, si ammanta persino di false coperture nella Chiesa, ha due roccaforti istituzionali, Lega e M5S, peso sul capo del governo e dell’opposizione. Non è chiaro come si svolgerà tale battaglia, ma il conflitto è arrivato a Roma. L’analisi di Francesco Sisci
Nel voto di giovedì al Parlamento europeo la risoluzione per autorizzare l’Ucraina a usare armi fornite dalla Ue contro la Russia ha ottenuto una larghissima maggioranza. Qui però ha brillato il contrasto dell’Italia, Paese fondatore dell’Unione e fra i tre più ricchi e popolosi. Lega e M5S si sono schierati contro l’autorizzazione.
L’Italia non è nuova a queste performance. Dopo la guerra, il Partito Comunista Italiano, Pci, era contrario all’adesione alla neonata alleanza atlantica antisovietica, la Nato. Quindi dopo lo scioglimento della costituente, con le elezioni del 1948, il Pci fu tenuto fuori dal governo fin quando, con Berlinguer, smise la sua opposizione alla Nato e allentò gradualmente e chiaramente i suoi legami con Mosca.
Ora però la Lega è nella coalizione di governo. Quindi o la Lega esce dal governo di Giorgia Meloni o il governo sceglie di chiedere l’uscita dalla Nato. Nelle settimane passate i ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto (rispettivamente di Forza Italia e Fratelli d’Italia), avevano rilasciato dichiarazioni ambigue sulla Russia, forse per rispetto alla Lega. Ciò dimostra il peso delle posizioni filorusse nel governo e quanto profondo sia il contrasto con le posizioni della Ue e della Nato.
Il problema si complica ulteriormente perché a sinistra ci sono divisioni analoghe. Gli M5S hanno ugualmente votato contro, ed Elly Schlein, come Meloni, non ha avuto una posizione chiara rispetto ai suoi deputati dissidenti o gli M5S. Le due giovani signore mancano evidentemente di leadership e profondità di pensiero, ma non è cosa nuova. Il punto vero è cosa il Paese può e deve fare nel prossimo futuro.
L’uso delle armi in Ucraina apre una nuova fase della guerra. I combattimenti oggi sono poggiati su tre elementi, elencati qui in ordine di importanza: i droni, l’artiglieria e la fanteria. Gli uomini contano, perché alla fine ci vogliono “gli scarponi sul terreno”, ma sono i droni e l’artiglieria che ce li portano.
Quindi l’inferiorità numerica degli ucraini può essere compensata da più e migliori droni, più e migliore artiglieria. Il permesso europeo fa cambiare strategia e promette che l’urto del conflitto arriverà probabilmente alle grandi città russe ponendo il presidente Vladimir Putin di fronte a una serie di scelte complicate.
A quel punto le alternative diventano poche anche per il futuro presidente americano. Se sarà Kamala Harris, naturalmente erediterà questa strategia. Ma anche se fosse Donald Trump a vincere le scelte non sarebbero troppe. Difficile che la spinta ucraina di droni e artiglieria contro la Russia si spenga fra 50 giorni al risultato del voto Usa. Si dovrà aspettare il passaggio di consegne, il 20 gennaio, e anche dopo di allora, quando gli eventuali nuovi leader avranno in mano la situazione. In sei mesi la situazione potrebbe essere molto diversa da oggi.
Quindi Mosca ha poche strade da prendere. Lo sfondamento sul fronte ucraino non è avvenuto finora e diventa improbabile che accada nei prossimi sei mesi. L’uso del nucleare tattico, anche quello finora non è accaduto e oggi più di ieri aprirebbe scenari più difficili di quelli che chiuderebbe. Una atomica sui campi di battaglia ucraini invita una guerra nucleare più o meno limitata. Inoltre, diversamente dal 2022, quando la Cina era più saldamente “filo russa”, oggi Pechino sta gradualmente sciogliendo i rapporti con gli Usa e tensioni con i suoi vicini.
Il presidente del Vietnam To Lam ha visitato Pechino con un’accoglienza regale, e truppe cinesi si sono ritirate da tre settori della contesa frontiera con l’India. Pechino, oggi maggiore appoggio economico e industriale alla Russia, non ha interesse a essere risucchiata in una escalation probabilmente ingovernabile.
Ma se le strade della guerra convenzionale hanno tracciati più chiari, quelli della guerra ibrida sono più aperti e oscuri. Una spinta per l’esasperazione di tensioni in America, dove lo scontro tra i due candidati è al fulmicotone, potrebbe essere una scelta. Ma lì comunque gli apparati sono in allerta, attenti e consci della complessità della partita. Trump eletto poi potrebbe rivelarsi molto meno “filorusso” di quello che oggi dichiara.
Una via più facile potrebbe essere l’Italia dove il tifo “pacifista” è trasversale, si ammanta persino di false coperture nella Chiesa, ha due roccaforti istituzionali, Lega e M5S, e peso sul capo del governo e dell’opposizione.
Inoltre, l’Italia ha una storia. Durante la Guerra Fredda fu terreno della più ampia offensiva terrorista, rossa e nera. C’erano filo sovietici che tiravano da tutte le parti per arrivare a fare a pezzi il Paese. Oggi non c’è terrorismo in Italia, ma le divisioni politiche sono forse più profonde di ieri perché il tifo filo Mosca, legittimo o no, c’è a destra, a sinistra e al centro (nel mondo degli affari). Allora c’era solo a sinistra, e con minuscole frange a destra.
Indipendentemente da come gli attori politici attuali scelgano di muoversi, lo scenario è estremamente complicato. Inoltre, oggi gli attori politici, da ogni parte, sono spesso pesi piuma, rispetto ai pesi massimi di 80 anni fa.
Quindi, con il voto Ue, l’Italia diventa campo di battaglia della guerra in Ucraina. Non è chiaro come si svolgerà tale battaglia, ma il conflitto è arrivato a Roma.