“Non vi sono soluzioni pacifiche in vista”: è realista il messaggio con cui il segretario generale dell’Onu, Guterres, introduce i vertici di massimo livello della Unga. L’assemblea generale delle Nazioni Unite si trova a dover gestire guerre, crisi, sfide e opportunità di un mondo (multipolare?) nel caos
C’era una volta l’idea di un mondo unipolare spinta da Barack Obama, senza guerra e col diretto, unico, obiettivo comune della prosperità globale. Rapide evoluzioni tattiche nel presente, orientazioni strategiche per il futuro, escalation in dossier del passato hanno obliterato — con connessioni frutto di pianificazione o opportunità — quella che era una mera idea, consegnandoci oggi, a distanza di un decennio e mezzo, un mondo probabilmente multipolare, di certo frammentato, a tratti disordinato se non caotico. È questo il quadro di sintesi degli affari globali che le leadership dei 193 Paesi della Nazioni Unite affrontano all’Assemblea generale, con riunioni di vario genere in programma nei prossimi tre giorni.
La United Nations General Assembly (acronimo globale “UNGA”, tutto maiuscolo in stile globish), è un’occasione unica che tra discorsi pubblici e incontri privati fa ruotare tra il Palazzo di Vetro e dintorni 130 leader mondiali (capi di Stato o di governo), che avranno modo di ascoltare le reciproche arringhe pubbliche, così come di avere faccia a faccia laterali. Chi vi ha partecipato spiega che sono momenti entrambi importanti. Parlare pubblicamente offre l’occasione per veicolare in modo diretto il proprio messaggio strategico, la propria visione, a un pubblico che parte dagli omologhi presenti e arriva (in teoria) e tutte le nazioni del mondo, tramite le dozzine di media accreditati. E però, negli incontri riservati, si sa, c’è la sostanza.
Un esempio: Narendra Modi, uno dei grandi leader del sistema multipolare in costruzione, e sempre un attore efficace nell’ambito dell’assemblea, dovrebbe avere un qualche incontro personale con Donald Trump — totalmente esterno (forse anche nel pensiero) dal sistema del vertice onusiano, purtuttavia uno che tra poco meno di due mesi potrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Dell’incontro trumpiano non c’è certezza, mentre Modi ha visto Joe Biden separatamente ma in occasione del vertice del Quad, ospitato dal presidente statunitense, con un tocco personale, a Wilgminton, la sua città. Anche Giorgia Meloni ne programma svariati di faccia a faccia: dai leader africani (vedi Piano Mattei) fino a Elon Musk, che le consegnerà il “Global Citizen Award 2024” durante una celebrazione all’Atlantic Council.
In mezzo alle celebrazioni di vario genere e al tentativo di trovare uno sbocco positivo sul futuro a cui molti affideranno i loro interventi, c’è la cruda realtà: “Non vi sono soluzioni pacifiche in vista”, come dice il segretario generale Antonio Guterres parlando dei due grandi dossier che attirano i riflettori, Ucraina e Medio Oriente, ma forse sottintendendo decine di altri file in cui lo spazio per la mediazione, l’accordo, la pace pare veramente poco. Dal Corno d’Africa al Mar Cinese, crisi e tensioni si moltiplicano, e in molti casi la guerra non ancora guerreggiata produce comunque instabilità e complessità — che nei sogni il mondo unipolare idealizzato avrebbe dovuto distendere, colpo di ferro da stiro sullo stropicciato lenzuolo delle relazioni internazionali.
Il capo delle Nazioni Unite ha detto ai giornalisti che “le sfide internazionali si stanno muovendo più velocemente della nostra capacità di risolverle”, e ha sottolineato che ci sono “divisioni geopolitiche fuori controllo” e conflitti “in fuga”, per poi aggiungere che cambiamenti climatici, disuguaglianze, debito e nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale non hanno guardrail.
Volodymyr Zelensky arriva col cosiddetto “Piano per la vittoria” a New York (e ne parlerà al Consiglio di Sicurezza, al dibattito generale, a Biden e soprattutto a Kamala Harris), mentre un conflitto tra Israele e Hezbollah — che significherebbe con il Libano, e forse anche con l’Iran — sembra ormai la deriva verso cui scivola l’inerzia della guerra non-più-solo nella Striscia di Gaza. Ma oltre alle guerre guerreggiate in Europa orientale e Medio Oriente c’è molto altro.
E non solo perché altre crisi militari e conflitti pervadono gli equilibri globali, ma perché ci sono dossier che caratterizzano presente e futuro dell’umanità in cui la competizione internazionale è sempre più determinante, a cominciare dalla sfera economico-commerciale. E poi, banale dire del cambiamento climatico o del terrorismo, ma tant’è; inoltre c’è da gestire la diffusione delle droghe sintetiche, la sicurezza alimentare, l’intelligenze artificiale. Sfide — e minacce tanto quando opportunità, in alcuni casi — che sono al cuore del Summit of the Future, evento di alto livello che riunisce i leader mondiali per creare un nuovo consenso internazionale su come realizzare un presente migliore e salvaguardare il futuro. All’adozione su un documento di sintesi e ricerca di intenti comuni, parteciperà anche Meloni, il cui programma di intervento alla plenaria è previsto per lunedì alle 11:15 (EST).
Non è un caso se a questo processo che mira a riesumare, quanto meno nella narrazione del momento, manchino Vladimir Putin e Xi Jinping. Soliti assenti, rappresentati dagli importantissimi capi della diplomazia, mancando mandano un segnale: considerare le Nazioni Unite per come le consociamo troppo occidente-centriche. È parte dello storytelling strategico con cui spingono il modello alternativo al sistema di valori liberale e democratico (occidentale) verso un revisionismo (che per Pechino ha “caratteristiche cinesi” e per Mosca slancio imperiale).
Nel motto di fondo“work together”, questo racconto della situazione incrocia i desiderata dei tanti Paesi che richiedono una riforma – più inclusiva – delle istituzioni internazionali (a cominciare dal Consiglio di Sicurezza e il disfunzionale, ristretto sistema di veto dei membri parmanenti).
C’è un divario piuttosto evidente tra il Vertice del Futuro, con la sua attenzione all’espansione della cooperazione internazionale, e la realtà che l’Onu sta fallendo a Gaza, o in Ucraina o in Sudan per esempio. L’ambasciatore statunitense Linda Thomas-Greenfield ha detto ai giornalisti: “I più vulnerabili di tutto il mondo contano su di noi per fare progressi, per fare cambiamenti, per portare un senso di speranza per loro”. Ma in molti, in quello che l’Occidente chiama “Sud Globale”, iniziano a guarda anche altrove, attratti da propagande costruite e incoerenze comprovate.
Il mondo sta diventando meno stabile, meno pacifico e l’erosione del rispetto delle regole sta aumentando giorno dopo giorno. Si sta effettivamente scivolando verso uno stato di disordine e mai dalla Seconda guerra mondiale a oggi è stata così importante la necessità di ricostruire la fiducia nelle istituzioni multilaterali internazionali.