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Russia in bolletta. Ecco come la guerra di Putin inguaia le famiglie

​L’impennata della spesa militare e il conseguente surriscaldamento dei prezzi, hanno spinto quasi quattro nuclei su dieci a oltrepassare il limite di cassa sulle proprie carte di credito, aprendo la strada a nuovi interessi bancari

Piccoli grandi problemi per la Russia. Non bastavano le banche rimaste a secco di moneta cinese o il congelamento sine die dei beni confiscati agli oligarchi azionisti della Borsa di Mosca. Adesso, tanto per rimanere nel perimetro domestico, i guai dell’ex Urss si spostano tra le mura di casa. Secondo il Bureau finanziario russo, infatti, nei mesi scorsi i russi hanno speso il 33,9% del limite disponibile sulla carta di credito. In altre parole, il grosso delle famiglie hanno speso più di quanto potessero, valicando il limite dello scoperto (quando una banca consente di effettuare spese anche una volta raggiunto il limite massimo).

Tutto questo significa essenzialmente due cose. Primo, i russi si stanno indebitando con gli istituti, dal momento che i soldi extra concessi dalle banche generano interessi, che poi vanno pagati. Secondo, come hanno spiegato dallo stesso Bureau, le maggiori spese con relativi sforamenti sono imputabili all’aumento dei prezzi, ovvero dell’inflazione, a sua volta riconducibile all’incremento spropositato delle spese militari. Tutto questo ha spinto quasi quattro famiglie su dieci a spendere più di quanto potesse realmente.

Gli ultimi dati raccontano come l’inflazione in Russia abbia accelerato nelle ultime settimane all’8,59% contro l’8,3% della scorsa estate. Su base mensile, i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,64%, secondo i dati del Servizio statistico statale russo (Rosstat), spinti dai prezzi dei prodotti alimentari, aumentati dello 0,63% e in termini annuali del 9,81%. Non è finita. Un’altra dimostrazione del fatto che l’economia russa sta nel fatto che l’intera crescita di Mosca poggia sugli armamenti. Una spesa forsennata in grado di mascherare persino un enorme deficit.

L’anno scorso, infatti, il disavanzo russo si è ampliato più del previsto, poiché le entrate del petrolio e del gas sono diminuite di quasi un quarto mentre il Cremlino continuava ad aumentare le spese militari della guerra d’aggressione contro l’Ucraina. Gli ultimi dati del ministero delle Finanze russo mostrano che il gap fiscale ha superato i tremila miliardi di rubli, una cifra pari a trentasei miliardi di dollari, ovvero l’1,9% del Pil. Si tratta di trecento miliardi di rubli in più, sia rispetto all’obiettivo di bilancio fissato per l’intero 2023 che alla stima per fine dicembre annunciata in precedenza dal ministro delle Finanze Anton Siluanov.

La spesa ha superato dell’11% le proiezioni, mentre le entrate fiscali dalle esportazioni di petrolio e gas, che rappresentano quasi un terzo delle entrate della Russia, sono crollate del 24% rispetto al 2022. Inoltre, ad accentuare il calo delle entrate nette è il crollo delle esportazioni russe dai gasdotti, e i generosi sussidi statali concessi all’industria petrolifera nazionale. A compensare tutto questo, però, c’è un aumento di quasi il 70% delle spese militari, che ormai rappresentano l’unico fattore di crescita della Russia, con effetti fortemente distorsivi nella percezione dei dati e della realtà economica dopo l’invasione dell’Ucraina. Dietro questi dati oggettivamente positivi però c’è una spesa pubblica fuori controllo, un’inflazione elevata e forti distorsioni e nella produzione industriale e nell’occupazione.



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