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Pechino mette altri soldi nelle banche cinesi. Ma servirà a poco

Nel tentativo di rimettere in moto i consumi, il governo ha ridotto i tassi sulle riserve degli istituti, pompando oltre 70 miliardi di yuan. Magli economisti sono ancora troppo scettici

Tutto l’oro del mondo non basterà a salvare la Cina. Eppure a Pechino sono convinti del contrario. Poche ore fa il governo cinese, utilizzando il braccio operativo della Pboc, la banca centrale, ha varato l’ennesimo piano di stimoli per l’economia, nel tentativo di rianimare la crescita del Dragone. Nello specifico, la Pboc ha annunciato un ampio stimolo monetario e misure di sostegno al mercato immobiliare per rilanciare un’economia alle prese con forti pressioni deflazionistiche e che rischia di non raggiungere l’obiettivo di crescita di quest’anno. Il pacchetto, più ampio del previsto, rappresenta l’ultimo tentativo da parte dei funzionari cinesi di ripristinare la fiducia nella seconda economia mondiale, dopo una serie di dati deludenti degli ultimi mesi.

Due gli assi portanti del nuovo piano. Primo, nel prossimo futuro la banca centrale ridurrà di 50 punti base la quantità di denaro che le banche devono detenere come riserva, nota come coefficiente di riserva obbligatoria. A seconda delle condizioni, potrebbe esserci un altro taglio di 0,25-0,5 punti base entro la fine dell’anno, ha aggiunto Pan. Secondo, la Pboc taglierà anche il tasso repo a sette giorni, il suo nuovo benchmark, di 0,2 punti percentuali all’1,5%. Il tasso di interesse sulla linea di credito a medio termine scenderà di circa 30 punti base e i tassi di interesse principali sui prestiti di 20-25 punti base.

Eppure, per molti economisti, si tratta dell’ennesimo colpo a vuoto. “Non penso che questo piano sia sufficiente per affrontare le questioni di fondo dietro la deflazione”, ha spiegato a Bloomberg Duncan Wrigley, capo economista cinese per Pantheon Macroeconomics. “Ciò di cui la Cina ha bisogno è un pacchetto di riforme per riconfigurare radicalmente l’economia e scatenare la crescita dei consumi”. A conti fatti, la maggior parte degli economisti concorda sul fatto che è necessario di più per evitare una deflazione in Cina, in stile Giappone. Il grande pezzo mancante rimane una strategia coerente per far aumentare la spesa di 1,4 miliardi di cinesi. “Molti problemi della Cina sono guidati dalla domanda o dalla fiducia”, ha chiarito Nigel Peh, gestore per Timefolio Asset Management Co. “Nel complesso, non credo che le misure possano spostare l’ago poiché i problemi della Cina sono complessi. E non c’è nessun proiettile d’argento”.

E dunque, c’era davvero bisogno di tornare a ritoccare il costo del denaro utilizzato dal circuito interbancario pompando risorse cosi ingenti? Ovvero 74 miliardi di yuan (poco più di 10 miliardi di dollari Usa) nel sistema bancario, oltre ai 33 miliardi di dollari Usa iniettati con operazioni su mercato aperto? Per Pechino sì, per altri no.



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