La lunga, e oggettivamente lenta, marcia di avvicinamento di Fratelli d’Italia al Ppe è in corso da tempo, e in questi giorni sta registrando un piccolo balzo in avanti. Un percorso obbligato per chi della “democrazia” ha un’idea realistica piuttosto che retorica. Il corsivo di Andrea Cangini
Perfettamente in linea con il leader dell’estrema destra austriaca Herbert Kickl, Matteo Salvini ne fa una questione di “democrazia”. Nelle elezioni di domenica, dice, il FpO ha ottenuto più voti di tutti (28,9%), perciò spetta a Kickl formare il nuovo governo austriaco. La tesi dilaga sui social: se Kickl e suo partito verranno esclusi dal governo sarà la prova che quella austriaca non è una vera democrazia. Tesi bizzarra.
È infatti piuttosto noto che nei sistemi democratici per assumere responsabilità di governo bisogna rappresentare la maggioranza dell’elettorato, ed è evidente che il FpO di Herbert Kickl rappresenta meno di un terzo degli elettori austriaci. Per governare, dunque, dovrebbe coalizzarsi con altri partiti, ma essendo arroccato su posizioni estreme ed estremiste nessun partito tra quelli rappresentati nel parlamento austriaco ha la benché minima intenzione di stringere un’alleanza di governo con il FpO. La democrazia, dunque, non c’entra. C’entrano invece, e molto, l’inerzia politica e l’autoisolamento di Kickl e dei suoi accoliti.
Pur nella loro ovvietà, ricordare le regole basilari del funzionamento dei sistemi democratici aiuta a comprendere il senso di marcia dei passi che Giorgia Meloni sta compiendo sul terreno europeo. A differenza di Identità e democrazia, il gruppo europeo in cui militano sia Salvini sia Kickl, il gruppo dei Conservatori europei (Ecr) guidato da Meloni è potenzialmente coalizzabile, perché meno incline al radicalismo politico e alla demagogia. E del gruppo dei Conservatori Giorgia Meloni viene considerata la leader nazionale più “frequentabile”. Ma non basta. La presidente del Consiglio italiano sconta il fatto di non aver votato Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea e deve fare i conti con l’ostilità del Pse, del cancelliere tedesco Scholz e del presidente francese Macron. Deve, dunque, dare segnali concreti di frequentabilità; deve aprirsi al mainstream europeista.
Si spiega così la decisione di invitare una delegazione del Partito popolare europeo al congresso che Ecr terrà dal 18 ottobre in Croazia. Una decisione senza precedenti. Una decisione che, scrive oggi Repubblica, va letta in pendant con l’editoriale iper elogiativo del neocommissario europeo all’Agricoltura, il popolare Christophe Hansen, pubblicato dal magazine del gruppo di FdI all’Europarlamento, The Conservative. Insomma, pur tra mille difficoltà, Giorgia Meloni ha capito che per governare non basta ottenere il 30% dei consensi, ma bisogna essere in grado di spenderli concretamente nel rapporto con le altre forze politiche.
La lunga, e oggettivamente lenta, marcia di avvicinamento di Fratelli d’Italia al Ppe è in corso da tempo, e in questi giorni sta registrando un piccolo balzo in avanti. Un percorso obbligato per chi della “democrazia” ha un’idea realistica piuttosto che retorica.