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Un modello internazionale per l’Italia

Nell’ultimo ventennio, la questione “ambientale” è divenuta una emergenza globale che sta interessando, in forme e modi diversi, tutti i Paesi del mondo. Stiamo assistendo a una vera e propria “green revolution” che ha investito, in modo trasversale, diversi settori delle attività dell’uomo; dall’economia alla sociologia, dall’energia ai trasporti e ovviamente l’edilizia. Quest’ultimo settore è infatti responsabile di circa la metà del totale delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, con un trend in continuo aumento, contro rispettivamente il 35% a carico dei trasporti e il 15% dell’industria, con quest’ultima praticamente costante nell’ultimo decennio (dati World Gbc – 2010).
All’interno di questo scenario, a volte dipinto con toni di catastrofismo, si è assistito negli ultimi dieci anni alla nascita in molti Paesi di Green building councils, associazioni senza scopo di lucro che hanno posto al centro della propria missione la trasformazione del settore delle costruzioni in chiave sostenibile, al fine di minimizzare l’impatto degli edifici sull’ambiente migliorando nel contempo la qualità di vita degli occupanti (consideriamo che in media noi tutti trascorriamo il 90% del nostro tempo all’interno di un edificio) e creando delle nuove opportunità di rilancio economico.
 
Gli Stati Uniti, Paese da sempre caratterizzato da forti contraddizioni, se da un lato è stato per decenni la realtà maggiormente energivora e inquinante a livello globale, è stato il capofila di questo movimento di inversione di tendenza, a cui hanno rapidamente fatto seguito Australia, Canada, Spagna, Giappone, Brasile, Messico, solo per citarne alcuni. Nel 2008 viene costituito Gbc Italia. La Germania, Paese da decenni caratterizzato dalle più avanzate pratiche di sostenibilità in edilizia, ha ritenuto ugualmente di dover dare vita a una forma associativa, e ha costituito il Dgnb; alla data di oggi il World green building council (www.worldgbc.org) conta circa 80 Gbc suddivisi in membri permanenti, membri emergenti e gruppi associati. Il denominatore comune di queste associazioni può essere declinato secondo alcuni principi fondanti: esse sono organizzazioni no-profit finalizzate alla diffusione della cultura della sostenibilità, della progettazione e costruzione di edifici sostenibili ed eco-compatibili; sono caratterizzate da una partecipazione su base volontaria e attiva da parte di soci generalmente molto eterogenei e rappresentativi dell’intera filiera delle costruzioni; infine sviluppano autonomamente oppure promuovono, adattandoli alle realtà locali, sistemi di certificazione della sostenibilità ambientale per gli edifici.
 
Per dare il senso della portata mondiale di questo fenomeno è opportuno soffermarsi su quest’ultimo aspetto. Strumenti come Leed, Breeam, Hqe, Casbee o Green star, stanno diventando parte integrante del lessico internazionale delle costruzioni, a tutti i livelli, dalle grandi opere di rilevanza mondiale fino ad arrivare alle costruzioni più ordinarie includendo anche gli interventi sugli edifici esistenti e la pianificazione d’area vasta.
Anche in questo caso, sebbene ogni tool abbia delle proprie caratteristiche specifiche, è possibile identificare alcuni aspetti comuni a tutti i sistemi. Si tratta di protocolli di certificazione validati da un ente terzo, in rispetto a quanto previsto dalle norme Iso in materia, e che sono articolati secondo aree tematiche, e quindi non solo focalizzati all’aspetto energetico, sebbene questo rivesta un ruolo di primaria importanza. Si tratta di un approccio definito come “olistico” che abbraccia l’intero arco di vita dell’edificio, dalla fase di pianificazione ed ideazione fino alla fine della costruzione ed oltre.
 
Essi stabiliscono degli oggettivi criteri di misurazione, attraverso schemi differenti ma che considerano le normative vigenti in materia ambientale il benchmark minimo, rispetto al quale si deve fare meglio. Si ritiene opportuno, in questo contesto, approfondire il caso del Leed, acronimo di Leadership in energy and environmental design, lo strumento che tra i molti sta assumendo il carattere di standard di riferimento mondiale, essendo di fatto il più diffuso e utilizzato al mondo. Sviluppato a cavallo della fine degli anni ’90 e l’inizio del decennio scorso dal Us Green building council, esso ha nel tempo superato i confini nordamericani venendo ad essere utilizzato in circa 130 Paesi per un totale di circa 60mila progetti tra commerciali e residenziali. Si tratta di uno strumento “open source” nel senso che è la community stessa che lo ha adottato a curarne un costante aggiornamento e perfezionamento, in ragione di una realtà in continuo mutamento e soprattutto in forza delle diverse caratteristiche territoriali in cui viene ad essere applicato.
 
Proprio per questa sua flessibilità e facilità di applicazione e verifica, Leed ha operato una vera e propria rivoluzione nel campo dell’edilizia negli Stati Uniti e nel mondo; nato come strumento volontario, negli Stati Uniti è stato presto adottato dalla maggioranza dei soggetti pubblici (Stati federali, organizzazioni governative, governo centrale) quale requisito obbligatorio per i futuri nuovi edifici pubblici, nonché per il retrofit dell’esistente. Parallelamente ha generato una forte convergenza da parte di tutti gli attori della filiera delle costruzioni. Tutto ciò è testimoniato da una moltitudine di esempi di rilevanza mondiale che hanno scelto Leed quale benchmark per misurare la propria sostenibilità: dai villaggi olimpici di Vancouver 2010 e Pechino 2008 ai futuri Mondiali del 2014 e Giochi di Rio del 2016; l’expo di Shanghai e quello di Milano del 2015, passando per grandi icone dell’architettura come il Museo delle Scienze di San Francisco, progettato da Renzo Piano, per arrivare all’Empire state building che sta seguendo il protocollo Leed per edifici esistenti nel ripensare il proprio impatto sull’ambiente.
Su queste premesse, il Green building council Italia ha deciso di adottare e promuovere Leed per il mercato italiano, avendone curata la trasposizione e l’adattamento, creando il primo caso mondiale di un protocollo conforme alle regole generali e quindi riconosciuto dall’ente certificatore, il Gbci (Green building certification institute), ma realmente aderente alla realtà nazionale e quindi pronto all’uso per il nostro mercato delle costruzioni.


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