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Cosa dice il decreto sulla rendicontazione di sostenibilità delle aziende

Il Decreto legislativo n.125 recepisce in Italia la Corporate sustainability reporting directive (Csrd), imponendo alle imprese l’obbligo di rendicontare periodicamente l’impatto delle loro attività su ambiente e società. La normativa estende tali obblighi anche alle Pmi, rafforzando la trasparenza e la sostenibilità nelle attività economiche

È passato sotto silenzio, ma riveste un’ importanza di non poco conto per le aziende, tutte le aziende, che dovranno adeguare i loro piani e i loro investimenti alla nuova normativa. Stiamo parlando del reporting periodico sulla sostenibilità ambientale, sull’impatto, cioè, che le loro attività hanno sulle persone e sull’ambiente. È stato, infatti, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 settembre, ed entrato in vigore il 25 settembre, il Decreto legislativo n.125 che recepisce nella normativa nazionale la direttiva europea 2022/2464, la cosiddetta Corporate Sostenibility Reporting Directive (Csrd), “al fine di rafforzare gli obblighi di reporting non strettamente finanziario, prevedendo in particolare l’estensione alla piccole e medie imprese (diverse dalle microimprese)”. Tale rendicontazione consiste in “informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità e del modo in cui tali questioni influiscono sull’andamento dell’impresa”.

Vediamo di che si tratta partendo proprio dalla direttiva del 2022. Negli ultimi anni, scrive la Commissione nella proposta di direttiva, si è registrato un notevole incremento della domanda di informazioni societarie sulla sostenibilità, soprattutto da parte della comunità degli investitori e in particolar modo per i rischi finanziari connessi al clima. Queste informazioni debbono conformarsi ai “principi di sostenibilità” sanciti dall’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici , dalla Convenzione sulla biodiversità delle Nazioni Unite e dalle politiche dell’Unione Europea . Le imprese stesse possono trarre beneficio da una ”rendicontazione di qualità elevata in merito alla questioni di sostenibilità” per un più agevole accesso ai finanziamenti e per meglio gestire i rischi e le opportunità legate alla sostenibilità.

Una delle novità della nuova normativa riguarda l’estensione dell’obbligo di rendicontazione ambientale anche alle piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese, perché rappresentano una quota significativa all’interno dell’Unione. “Tale obbligo contribuirà a proteggere i migliorare l’accesso delle imprese di minori dimensioni al capitale finanziario e ad evitare che tali imprese siano discriminate dai partecipanti ai mercati finanziari”. In questo senso gli Stati membri dovranno valutare l’impatto delle misure nazionali su queste imprese in modo da assicurare che non vengano colpite “in modo sproporzionato”, evitando eccessivi oneri amministrativi e introdurre “misure per coadiuvare le piccole e medie imprese nell’applicazione dei principi di rendicontazione di sostenibilità”.

Quali sono le aziende che dovranno obbligatoriamente presentare la rendicontazione, oltre che finanziaria, di sostenibilità sugli impatti ambientale, sociale e di governance (Esg)? Dal 1° gennaio 2024 lo erano già le imprese quotate in borsa che superavano due di questi requisiti: totale attivo dello stato patrimoniale superiore a 25 milioni di euro; ricavi netti superiori a 50 milioni di euro; avere oltre 500 dipendenti. Dal 1° gennaio 2025 quelle imprese, anche non quotate, che superano uno di questi parametri: totale attivo dello stato patrimoniale superiore a 25 milioni; ricavi netti superiori a 50 milioni di euro ed avere più di 250 dipendenti. Dal 1° gennaio 2026 le Piccole e Medie Imprese quotate con fatturato superiore a 900 mila euro, un attivo superiore a 450 mila euro e più di 50 dipendenti. Infine, dal 1° gennaio 2028 saranno obbligate alla rendicontazione anche le imprese di Paesi extra UE con ricavi sul territorio dell’Unione superiori a 150 milioni di euro. “Non rientrano nel campo di applicazione le micro-imprese, anche qualora queste abbiano valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentari italiani o dell’Unione europea”.

La rendicontazione di sostenibilità dovrà includere “una breve descrizione del modello e della strategia aziendale” nella quale siano indicati i rischi connessi alle questioni di sostenibilità; i piani finanziari per la transizione verso un’economia sostenibile e con “la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici”; le modalità di attuazione della strategia di sostenibilità. E ancora, una descrizione degli obiettivi quantitativi “di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno per il 2030 e il 2050”; le politiche dell’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità; le procedure di “dovuta diligenza” dell’impresa in relazione alla sostenibilità, in linea con gli obblighi dell’Unione europea.

La rendicontazione di sostenibilità dovrà avere un’attestazione di conformità redatta da un revisore che può essere lo stesso del bilancio di esercizio. Fino alla fine del 2025 i revisori che effettuano i controlli sono esentati dall’avere una specifica esperienza in materia di rendicontazione di sostenibilità. A partire dal 2026 l’esercizio della revisione e lo svolgimento degli incarichi legati all’attestazione di conformità potranno svolgerlo soltanto i soggetti iscritti nel registro del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

“La responsabilità di garantire che le informazioni richieste siano fornite in conformità a quanto previsto dal presente decreto compete agli amministratori delle società. Nell’adempimento dei loro obblighi costoro agiscono secondo criteri di professionalità e diligenza, L’organo di controllo vigila sull’osservanza delle disposizioni stabilite dal decreto e ne riferisce nella relazione annuale all’assemblea” (art.10).
Per agevolare l’esercizio delle rispettive funzioni nelle materie di sostenibilità ambientale, sociale e dei diritti umani, la Consob, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, “nel rispetto delle reciproche competenze”, individuano forme di collaborazione, “anche attraverso protocolli d’intesa o l’istituzione di comitati di coordinamento”, naturalmente sempre “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Così pure ai componenti di eventuali comitati non verranno riconosciuti “compensi, gettoni di presenza, rimborsi spesa o altri emolumenti”.

La direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità si inserisce in quel “Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile” con il quale la Commissione europea si prefigge l’orientamento dei capitali verso investimenti sostenibili allo scopo di realizzare “una crescita sostenibile e inclusiva, gestire i rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici, l’’esaurimento delle risorse, il degrado ambientale” e promuovere, allo stesso tempo, “la trasparenza e la visione a lungo termine nelle attività economico-finanziarie”. La comunicazione da parte delle aziende di “informazioni pertinenti, comparabili e affidabili sulla sostenibilità è condizione preliminare per la realizzazione di tali obiettivi”.



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