Fondanzione Med-Or fa dialogare una politiloga emiratina, Al Ketbi, e un ex dirigente dell’intelligence israeliano, Meidan. Punti in comune e distanze emergono durante il dibattito per il futuro, condiviso, del Medio Oriente
“È la prima volta in Italia, e forse anche all’estero, che dopo il 7 ottobre un esponente di un grande Paese arabo e un esponente di Israele decidono di discutere apertamente”, ha detto Marco Minniti, presidente della Fondazione Med-Or, aprendo l’evento “Medio Oriente. Un anno dopo”. Organizzato a Roma, l’incontro ha visto la partecipazione di Ebtesam Al-Ketbi, fondatrice e presidente dell’Emirates Policy Center degli Emirati Arabi Uniti, e David Meidan, ex alto dirigente dell’intelligence israeliana. Il tema centrale del dibattito, condotto da Monica Maggioni, è stato il futuro del Medio Oriente dopo gli eventi drammatici che hanno seguito l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Eventi di cui ancora sentiamo il peso, mentre la relazione tra Israele e Palestina sembra irrecuperabile, la guerra si è ormai espansa (contro Hezbollah) in Libano, ci sono stati scambi di colpi diretti tra Israele e Iran e, in definitiva, la regione riflette su come e quando si potrà recuperare una forma di stabilità.
Ed è proprio questo l’interrogativo inquietante che si pone Al-Ketbi: dopo oltre 41 mila morti palestinesi, è ancora possibile un dialogo tra palestinesi e israeliani? “[Lo dico perché] appartengo alla scuola dei realisti,” ha ricordato, ma, spiega, il rischio è che quanto sta accadendo resti nel retaggio recondito per generazioni. Al-Ketbi ha sottolineato come le condizioni sul campo restino complesse, con il rischio di una radicalizzazione che potrebbe protrarsi oltre la Striscia e per molto tempo. La sfida, secondo la politologa emiratina, non è solo militare, ma strategica: senza una leadership che possa rappresentare i palestinesi e impegnarsi per un dialogo, le possibilità di pace restano limitate. Allo stesso tempo, Israele deve superare l’attuale fase di rappresaglia e pensare con un’ottica di lungo termine, cercare un “orizzonte politico”.
Meidan, ex negoziatore per la liberazione del caporale Gilad Shalit, ha proposto una visione pragmatica per il futuro: “Non riesco a immaginare che tra quattro generazioni continueremo ancora a ucciderci a vicenda. Dobbiamo fermarci. Non sto dicendo che ci ameremo, ma possiamo creare condizioni di vita normali”. E ancora: “Dobbiamo raggiungere un accordo quanto prima”, ha detto a proposito dello scambio degli ostaggi ancora in mano a Hamas dopo oltre un anno e del collegato cessate il fuoco. Poi ha aggiunto: “Penso che la situazione dopo la guerra debba essere in mano ai palestinesi, non europei o arabi, ma palestinesi. Non appartengo a coloro che credono sia necessario che Israele sia presente a Gaza, ma credo che la successiva leadership palestinese non debba occuparsi di costruire tunnel nella Striscia o piani di attacco, ma pensare alla vita dei suoi cittadini”.
Pur riconoscendo che Israele non può tollerare minacce come quelle poste da Hamas, Meidan ha affermato che la strategia usata finora non può funzionare e non ha funzionato (e qui c’è una critica al governo Netanyahu riguardo all’aver sfavorito l’Autorità Palestinese, permettendo la crescita di Hamas). Quanto può durare la guerra? E soprattutto, fin dove può spingersi? Qui il tema sono le operazioni in Libano contro Hezbollah e l’Iran. Sebbene Israele abbia il diritto di reagire all’attacco subito il primo di ottobre, l’israeliano ha suggerito che sia più opportuno concentrarsi sul risolvere la situazione con la milizia libanese piuttosto che colpire immediatamente Teheran. “Per attaccare l’Iran ci sarà tempo”, dice Meidan incontrando le preoccupazioni emiratine. Mentre disarmare Hezbollah e garantire che il Libano non diventi un ulteriore campo di battaglia per gli interessi iraniani dovrebbe essere la priorità secondo Israele. Al-Ketbi ha concordato, evidenziando come anche un’azione troppo intensa potrebbe alienare ulteriormente il sostegno internazionale a Israele, che verrebbe visto come “forza di occupazione” anche in Libano.
L’evento, eccezionale di per sé per il format evidenziato da Minniti (che ha conseguentemente attirato personalità del settore difesa, esteri e sicurezza) ha evidenziato la complessità e le sfide del dopo 7 ottobre nel Medio Oriente. La necessità di nuove leadership, il rischio di radicalizzazioni future e il ruolo strategico del Libano e dell’Iran sono stati al centro del dibattito. Tuttavia, come ha sottolineato Meidan, l’obiettivo a lungo termine resta uno solo: “pace e normalità”. Un obiettivo che, seppur difficile da raggiungere, resta l’unica via percorribile per garantire la stabilità di una regione che è parte del vicinato geopolitico italiano.