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Una vera riforma del fisco che non arriva mai. L’opinione di Guandalini

Maggioranza e di opposizione sono concordi nel ritenere che la pressione fiscale debba diminuire e che è vietato far pagare ai soliti noti. Nel frattempo aumentano alimentari e bollette. Mentre Il sistema tributario rimane iniquo e complesso. Si rende necessaria una riforma dell’Agenzia delle Entrate. Semplificazione, meno scartoffie e burocrazia. Lo chiedono soprattutto le dimenticate partite Iva. L’opinione di Maurizio Guandalini

Notizia: la pressione fiscale si è impennata. Per stare ai numeri. Statistici. Un +0,7% (nel secondo trimestre 2024 siamo al 41,3% rispetto allo stesso periodo del 2023). L’evidenza è maggiore leggendo i dati dell’aumento percentuale dell’inflazione che è più del doppio di quello dei salari. Due prodotti, non proprio d’uso, per non citare il solito aumento del latte, del burro, del formaggio: l’acqua distillata e lo spray per pulire le lenti degli occhiali. Tre mesi fa l’acqua costava 0,80 oggi 1,15. Lo spray, tre mesi fa 2,50 oggi 3,50. Da artigiano dell’economia, ho ricordato circa un anno fa, che gli aumenti dei prodotti non sarebbero più ritornati indietro. E siamo lì a provarlo. C’è stato un gran cancan sul riallineamento del prezzo del diesel. Vedremo tra qualche settimana i prezzi degli alimentari quanto segneranno.

Ricordiamo che il trasporto avviene soprattutto su gomma. Automezzi con il diesel aumentato. E per la serie chiamare le cose col proprio nome una pesante patrimoniale c’è già. Mobiliare. Sui risparmi degli italiani. Che le famiglie intaccano per coprire il costo della vita. Contano nulla le mance e le mancette quando crescono le bollette. Della luce e del gas. Non siamo ai livelli di due anni fa. Ma con la reintroduzione di Iva e Oneri vari (che entrano nelle casse dello Stato) e il caos perdurante del mercato libero e tutelato, gli italiani leggono cifre da spavento. Così le bollette dell’acqua e dei rifiuti. Sempre all’insù. E scorrendo la lista incontriamo le assicurazioni.

Chiedi il perché e ti dicono che qualcuno (cioè tutti noi) deve pur coprire i tanti danni provocati dai tempestosi eventi atmosferici. E poi le banche. La tassa sugli extraprofitti cosa è se non una patrimoniale. Si fatica dargli quel nome ma non dovrebbe più spaventare dopo che il premier conservatore francese l’ha proposta. Il rischio è che pure queste patrimoniali le paghiamo noi con l’aumento del costo dei servizi. Sarà capitato recarsi in banca con un po’ di gruzzolo per chiedere un tasso d’interesse. Fate voi ha detto alla banca, ci scrive un lettore, per poi sentirsi rispondere che la politica della banca verso i clienti è a tasso d’interesse zero. Qui il riallineamento non c’è mai. Storture evidenti mai risolte. O irrisolvibili?

La premier Meloni ha detto: abbassare le tasse è cultura di governo. Lo sanno bene i lavoratori dipendenti e le partite Iva. Una riforma del Fisco, comunque, s’ha da fare. C’è un filo rosso che lega stretto i leader di maggioranza e di opposizione. Ed è l’assenza di un Fisco che funziona. In verità una vera riforma del fisco (e vedremo più avanti come secondo noi andrebbe fatta) non c’è. E sono superflui i richiami alla progressività in Costituzione o ai roboanti e continuati appelli a braccare gli evasori dentro il calderone degli 83,6 miliardi di evasione (dati Mef 2021), tutti gli anni sempre quelli (ma perché non si fa un censimento a tappeto, proposta di Alberto Brambilla, rivolto a quei milioni di ultratrentenni che non dichiarano nulla al fisco inviando loro una lettera con impressa una sola domanda: ma lei come campa?).

Nel frattempo l’Agenzia delle Entrate chiede di continuo nuove modalità per scartabellare nei conti correnti o nel prelevare (non è più possibile il contradditorio preventivo) una sanzione di una cartella esattoriale (il Fisco dispone di 190 banche dati collegate tra loro che riguardano 43,3 milioni di contribuenti e conserva ogni anno 2,4 miliardi di fatture elettroniche e 1,3 miliardi di informazioni sui redditi e sui bonus usate dall’Agenzia delle Entrate per predisporre le dichiarazioni precompilate. Con un’anagrafe tributaria così particolareggiata, secondo la Cgia di Mestre, non dovrebbe essere difficile individuare gli evasori). Poi capitano cose, notizia di questi giorni, di uno che ha chiuso l’officina 20 anni fa e gli arriva una cartella esattoriale da mezzo milione di euro e nel frattempo il fisco ha già prelevato 700 euro dal conto corrente bancario del figlio che è disoccupato. Possibile tutto ciò? E non sono casi isolati. Una cartella dopo vent’anni? Casi simili spesso le hanno rilevate anche gli amici di Striscia la Notizia. Simile, per i tempi lunghi dopo 30 anni si è chiusa la battaglia legale tra Maradona e l’Agenzia delle Entrate. Il debito del campione argentino non era di 37 milioni di euro ma di 952 euro.

I controlli dovrebbero essere entro l’anno successivo della presentazione della dichiarazione e finita lì, non che continuamente arrivano comunicazioni di cinque, sei, sette anni addietro. Gli sforzi dovrebbero essere concentrati sulla grande evasioni (ne scrivevo diffusamente nel libro Le lavanderie dei paradisi fiscali, Sperling&Kupfer, del 2002 , con prefazione di Victor Uckmar, il maggior fiscalista italiano, mai dimenticato, col quale, nei trent’anni di collaborazione editoriale, abbiamo discusso spesso della malasorte del nostro Fisco) e non sugli avvisi bonari frutto di errori per l’eccessiva complicanza burocratica del fisco italiano, una sommatoria di codici, sigle, che forzatamente inducono all’errore e al conseguente avviso.

Gli avvisi sono impossibili da comprendere, un ammasso di carte con riferimenti a numeri, rimandi, frutto di circolari e decreti che il povero cittadino deve mettersi le mani nei capelli. Come si raccapezza una povera partita Iva per 200 euro di Irpef non pagata nel 2016? Chi riesce a risalire? La maggior parte di cartelle e avvisi bonari di taglio basso arrivano alle piccole partite Iva sommerse da adempimenti, conteggi continui e i piccoli sono i primi a pagare fino all’ultimo cent a fronte di sacrifici (chiedendo prestiti) per evitare il fastidio di un effetto domino indesiderato (avvisi fiscali troppi errori. Il 2022 ha registrato un’impennata dei falsi positivi con 450 mila comunicazioni annullate in autotutela, corrispondenti ad oltre il 6 per cento del totale degli invii). Ma una partita Iva individuale e misera deve pure lavorare, cercarsi il lavoro e non ha il tempo di vedersi quotidianamente il cassetto fiscale se c’è una compliance (basterebbe inviare un alert sulla posta certificata o sulla casella di posta elettronica in uso e si evita al povero contribuente l’arrivo di una cartella con un carico di sanzioni da paura). Prevenzione, questo dovrebbero fare gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Noi da tempo sosteniamo che va riformata l’Agenzia delle Entrate. Che deve diventare nei suoi uffici territoriali una vera assistenza alla compilazione della dichiarazione ora demandata a caf o commercialisti. Va cambiato l’approccio. E il linguaggio. Oltre i tempi di verifica sulle dichiarazioni. Altresì una vera riforma del fisco passa dalla sua semplificazione. Una pagina e basta di dichiarazione.

E che dire delle partite Iva dimenticate? Le maggiori vittime degli errori fiscali, quelli bersagliati da avvisi bonari e cartelle sono le partite Iva. Un genere che è cambiato strutturalmente. Partite Iva, la stragrande maggioranza dei 4-5 milioni, sono con modesti fatturati. La più grande serrata dell’economia di questi ultimi anni. Migliaia e migliaia hanno chiuso. Chi rimane, tra gli altri quelli iscritti agli ordini professionali (per obbligo), non riescono pagare i minimi, i contributi previdenziali e altri ammennicoli, è fatto di piccole partite Iva (per lo più precari a vita). A malapena sufficienti per vivere (molti hanno presentato la dichiarazione ma non sono riusciti pagare le imposte e i contributi previdenziali). Chi identifica partite Iva con evasione (ristoratori, commercianti, notai, lavanderie, baristi) potrebbe essere risolto con quello che non si è mai fatto: detrarre il 50% delle fatture dei dentisti, degli elettricisti, dei taxisti, e delle altre tante professioni che si presume evadano.

Finita lì. Le partite Iva godono della flat tax ma è poca roba. La flat tax soprattutto per redditi bassi è una via crucis (ma che flat tax è se sono previsti gli acconti, calcolo assurdo perché fatto su dei soldi ancora da incassare?). In particolare per Inps. Togliere il 26,23% e oltre (no flat tax si tocca il 32%) di contributi previdenziali è un modo per ridurre ancor più in povertà i titolari di partita Iva. Si dovrebbe pensare di lasciare l’opportunità di versare la metà, oppure nulla, ipotizzare una copertura da parte di Inps per il rimanente. E non pagare le prestazioni sanitarie per i fatturati risicati. Le partite Iva non godono della malattia. Inoltre non si possono avvalere di alcuna legge che li copra nel caso debbano assistere un famigliare.

La politica non si è mai applicata ad aiutarle. Tre anni fa hanno pensato a Iscro (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa). Un bonus per gli autonomi. Si fa tutto per non distribuirli vista la complicanza per ottenerli. Ripetuto quest’anno perché il precedente è fallito per la troppa complessità di calcolo. E infatti quest’anno è peggio. Per i requisiti il calcolo richiede una media redditi del 2021 e 2022. Se il reddito del 2023 è inferiore al 70% della media allora si ha diritto al contributo. Quanti casi dove solo per lo sforamento di un euro si appartiene alla categoria dei ricchi pascià e quindi zero bonus? Siamo alla stregua della complicanza della circolare dell’Agenzia delle Entrate per ottenere i 100 euro promessi dalla Meloni.

Sia chiaro. Vale il principio che non sempre sono da distribuire bonus per aiutare chi non ce la fa. Lo ripetiamo. Se elimini scartoffie e burocrazia si riesce ad esempio risparmiare i 1000 euro del commercialista. Le fatture elettroniche vanno semplificate e tolti i costi (iscriversi al servizio gratuito dell’Agenzia delle Entrate ci vuole un ingegnere informatico). Per compilare una fattura, anche la più facilitata, si può cadere nell’errore per le diverse soluzioni delle varie caselle da riempire. E poi è un costo la tenuta delle fatture elettroniche costatando che non sono uno strumento così efficace per combattere l’evasione (non sono state trovate prove che l’aumento delle transazioni elettroniche contribuisca alla riduzione l’evasione Iva. Questa è quanto messo nero su bianco dalla Commissione Europea nel Vat gap in the EU 2022, report pubblicato annualmente che analizza l’andamento del tax gap dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero la stima dell’evasione Iva, riscontrata nei paese Ue).

Perché lasciate le riforme fiscali in mano a tecnici e funzionari? Sforzatevi, per una volta almeno, di sentire i contribuenti.



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