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Sull’IA l’Arabia Saudita ha scelto da che parte stare

Il Regno vuole diventare un hub tecnologico e la spinta miliardaria del governo a diversi progetti lo dimostra. Serve però decidere con quale gigante allearsi: se con la storia di Washington o con la novità di Pechino. Il nuovo direttore del Kaust, importante istituzione accademica della monarchia, non ha dubbi e punta sugli americani

C’è una forte convinzione a caratterizzare Sir Edward Byrne, il nuovo direttore della King Abdullah University of Science and Technology (Kaust) dell’Arabia Saudita: se c’è da scegliere tra est e ovest, non ha dubbi da che parte stare. “Le zone che conosco meglio”, ha detto al Financial Times il capo dell’istituzione accademica più importante della monarchia del Golfo, sono “il Regno Unito, l’Europa e gli Stati Uniti”. È con questi attori che intende collaborare e aprirsi: “Sapete quali sono le aree più sensibili, penso che tutti sappiamo quali siano. Sono assolutamente impegnato a rispettare tutte le normative nazionali pertinenti, comprese quelle relative all’America. Le partnership statunitensi sono di importanza cruciale. Come presidente, ho un impegno assoluto a rispettare tutte le normative commerciali americane per consentire a tali collaborazione di andare avanti”. Tra queste c’è la necessità di allontanarsi da Pechino, cosa che Byrne sembra intenzionato a fare: “Vedo ancora spazio per la collaborazione con la Cina in molte aree. Ma non in quelle in cui il governo americano ha linee guida molto rigide sull’accesso alla tecnologia”.

Un indirizzo chiaro, lontano anni luce dalla visione del suo predecessore. Tony Chan aveva infatti approfondito le relazioni con il gigante asiatico, in particolare con gli istituti della Chinese University di Hong Kong, Shenzhen e Shenzhen Research Institute of Big Data, affinché venisse sviluppato un modello linguistico arabo chiamato AceGPT. Ma il progetto si trascinava dietro anche ansie e preoccupazioni: la paura era che Washington potesse reagire, tagliando fuori il Kaust – e forse non solo – dal suo mercato tecnologico. L’amministrazione Biden ha adottato misure molto dure per evitare che la Cina si rifornisse del know-how a stelle e strisce.

L’Arabia Saudita cammina dunque su un filo. Storico alleato americano, negli ultimi mesi Riad ha iniziato a guardare con molta più attenzione a est. Non meno di quanto la Cina guardi con interesse al Medio Oriente, dove ha messo la sua firma sull’accordo che ha riavvicinato sauditi e iraniani. Oltre alla diplomazia nuda e cruda, c’è molto di più.

Pechino vuole realizzare la sua intelligenza artificiale e il regno di Mohammad bin Salman sembrava pronto a dargli una mano: a maggio, un fondo aveva investito nel progetto cinese per costruire il rivale di OpenAI. In contemporanea, il ministro della Tecnologia Abdullah Alswaha si è più volte recato Oltreoceano per colloqui con funzionari e imprenditori americani.

A cominciare da Nvidia. Durante il forum sull’intelligenza artificiale ospitato lo scorso mese a Riad, ad annunciare un accordo con il colosso statunitense è stata lo scorso mese la Saudi Data and Artificial Intelligence Authority. Non è stato l’unico. A marzo, la Saudi Arabia’s Public Investment Fund aveva invece parlato con Andreessen Horowitz, figura di spicco della Silicon Valley, per capire quale contributo avrebbe potuto offrire al fondo statale sull’intelligenza artificiale, per cui il governo saudita ha messo sul piatto 40 miliardi di dollari.

L’Arabia Saudita vuole diventare un nuovo hub tecnologico, sostenendo start-up collegate al mondo dei semiconduttori e dei data center. Siccome potrebbe non bastare, potrebbe essere costretta anche a decidere con chi collaborare sullo scacchiere internazionale. Ma su questo sembra aver già scelto.



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