Netanyahu parla durante lo Shabbat, mentre un drone di Hezbollah penetra per 70 chilometri dentro Israele e colpisce la sua casa a Cesarea. La difesa aerea è un simbolo per gli israeliani, non può fallire, per questo il leader bombardato prova a rassicurare la nazione (anche nel giorno del riposo)
L’immagine è quella di un UAV (o più giornalisticamente, un drone) che segue in coda e poi supera un elicottero Apache che gli stava dando la caccia. Il primo velivolo è un pezzo relativamente tecnologico, lanciato da Hezbollah e di fabbricazione iraniana; l’altro è il migliore elicottero da combattimento del mondo, prodotto da Boeing e McDonnel Douglas le cui vendite vengono autorizzate dal dipartimento di Stato solo per gli alleati migliori degli Stati Uniti — nel caso Israele. La scena si svolge settanta chilometri dentro al confine settentrionale israeliano, a Cesarea, città famosa per le sue ville eleganti, le rovine romane e l’anfiteatro sulla costa mediterranea.
L’Apache dà la caccia al drone perché dalla traiettoria valutata dai radar potrebbe finire su un obiettivo altamente sensibile, simbolico in questa fase fatta di simboli: la residenza del primo ministro Benjamin Natanyahu. E la centra. Il drone, sfuggito all’elicottero, esplode (“un gran botto”, dicono i presenti) sulla parete nord dell’edificio, vuoto — Netanyahu e la moglie non erano nella città dove normalmente passano il weekend, ossia solo il caso ha voluto che non si compisse l’assassinio del primo ministro. Va detto di nuovo, perché non era mai successa una cosa del genere: Hezbollah colpisce la casa del leader israeliano e per coincidenza non lo centra. In un momento in cui, attraverso operazioni eccezionali, come l’ultima che ha portato all’eliminazione del capo dei capi, Yahya Sinwar, Israele ha rovesciato la narrazione post-7/10 — quella che vuole la sua previsione di intelligence fallimentare, vista la facilità con cui i barbari di Hamas sono entrati nello stato ebraico per compiere lo scempio che ha aperto l’attuale stagione di guerra — si scopre vulnerabile nel cuore della leadership.
“Abbiamo sentito gli elicotteri sopra di noi e c’era la sensazione che ci fosse una sorta di incidente, ma non c’erano sirene, quindi non eravamo troppo preoccupati”, ha detto un residente di Cesarea a Channel 12. “Ma poi improvvisamente si è sentita una grande esplosione e non ci è stato chiaro se si trattava di un’intercettazione o di un impatto di un drone, ma era chiaro che si trattava di un vero incidente senza preavviso”. Ancora: “È stato molto preoccupante; per fortuna, non ci sono vittime”. La vicenda aggiunge un ulteriore livello di scontento tra coloro che contestano a Netanyahu di aver gestito male la situazione, senza aver ancora trovato il modo di riportare a casa i 101 ostaggi in mano di Hamas da altre un anno, e aver spinto sulla guerra senza ottenere risultati concreti.
La difesa aerea israeliana è da sempre un elemento di sicurezza, di certezza e di intesa tra leadership e collettività: i sistemi proteggono la normalità delle vite quotidiane, i cittadini ne sentono il ruolo, vi si affidano anche in mezzo al caos della guerra. Ma se non si riesce a frenare un drone diretto alla casa del primo ministro questa parte del patto sociale scricchiola. Netanyahu lo sa, per tale ragione ha scelto di parlare durante lo Shabbat. In un paio di video pubblicati in ebraico e inglese sui social media dopo che la sua casa è stata presa di mira, il leader bombardato ha insistito sul fatto che “nulla lo spaventerà” (traduzione più fedele: “deterrerà”) e che Israele “vincerà questa guerra”. Non ha direttamente menzionato l’attacco del drone, ma è assolutamente fuori dal protocollo che abbia rilasciato una dichiarazione nel giorno di riposo. Evidentemente ce n’era bisogno.