“Unifil? La missione deve proseguire, e qualsiasi scelta diversa smentirebbe un impegno che si protrae da decenni. L’Iran e il nucleare per usi militari? Non può essere accettato dalla comunità internazionale. I Paesi del Golfo? Possono giocare un ruolo fondamentale, in primo luogo attraverso la normalizzazione delle relazioni con Israele”. Conversazione con la presidente della commissione Esteri/Difesa del Senato
“Nel quadrante mediorientale si combatte una guerra ed è giocoforza necessario rivedere le regole di ingaggio della stessa missione Unifi”. Così a Formiche.net la presidente della commissione Esteri/Difesa del Senato Stefania Craxi che, partendo dai recenti attacchi in Libano al contingente Unifil, analizza lo stato della crisi mediorientale, anche alla luce del ruolo italiano di soggetto attivo dal punto di vista umanitario e diplomatico. Occorre “consentire ai nostri uomini di agire e di rispondere ai pericoli che si intensificano. In caso contrario, si corre il rischio – assai concreto, come si è visto – di essere spettatori in balia degli eventi, privi di qualsivoglia scudo difensivo”.
Le rassicurazioni di Benjamin Netanyahu ad Antonio Tajani sul Libano sono sufficienti?
Quella del ministro Tajani in Israele è stata una missione “di pace e dialogo”, come lui stesso ha riferito. Nel suo colloquio con il premier, ma anche con il presidente della Repubblica Herzog e con il responsabile della diplomazia Katz, Tajani ha ricordato che i Caschi blu di Unifil, fra i quali un grosso contingente di più di mille italiani, si trovano al confine con il Libano sotto l’egida delle Nazioni Unite, ed è inaccettabile che possano divenire un bersaglio di fuoco gli uomini ai quali la comunità internazionale ha affidato un ruolo di interposizione. Su questo, il passo del governo italiano non poteva che essere fermo e deciso, finalizzato all’incolumità dei nostri militari. Il primo ministro Netanyahu ha fornito garanzie sull’articolazione degli approcci operativi dell’esercito israeliano nel sud del Libano, attorno alle installazioni di Unifil, e siamo fiduciosi che simili atti non si ripeteranno. La missione deve proseguire, e qualsiasi scelta diversa smentirebbe un impegno che si protrae da decenni, rappresenterebbe il segnale di un disimpegno in un frangente in cui, al contrario, c’è bisogno di maggiore protagonismo per irrobustire i canali della diplomazia.
Cosa è stato chiesto in cambio delle rassicurazioni?
Credo che occorra utilizzare il linguaggio della verità. Nel quadrante mediorientale si combatte una guerra ed è giocoforza necessario rivedere le regole di ingaggio della stessa missione Unifil. Non certo per essere parte attiva del conflitto, ma per consentire ai nostri uomini di agire e di rispondere ai pericoli che si intensificano. In caso contrario, si corre il rischio – assai concreto, come si è visto – di essere spettatori in balia degli eventi, privi di qualsivoglia scudo difensivo. Occorre dunque sollecitare le Nazioni Unite ad un cambio di registro, per garantire l’incolumità dei Caschi blu, per dotarli degli strumenti attraverso i quali sia davvero possibile adempiere alle funzioni stabilite dalle risoluzioni del Palazzo di Vetro, in primo luogo l’attività di disarmo di Hezbollah. Se non si prende atto della necessità di compiere questo passo, si resta nel limbo. La “soluzione per il Libano”, delineata dal ministro Tajani, passa poi attraverso un rafforzamento dell’esercito regolare, che già viene addestrato dai nostri militari, di modo che possa estendere le condizioni di sicurezza sul terreno.
Quanto incideranno gli aspetti legati al nucleare?
Anche qui, occorre abbandonare le ipocrisie. In questo scenario, ogni risvolto della crisi rimanda al ruolo dell’Iran e alla corsa verso il nucleare per usi militari, che non può essere accettato dalla comunità internazionale. Questo naturalmente amplifica le preoccupazioni, e non solo di Israele.
Anthony Blinken ha detto che è il momento di porre fine alla guerra a Gaza: in che modo?
L’interruzione delle ostilità a Gaza è fondamentale per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e per l’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese stremata dalla sofferenza. Ѐ il primo passo verso una prospettiva politica che ai miei occhi non ha perso di validità, ovvero quella dei due Stati, degli israeliani che hanno il diritto di vivere in pace e in sicurezza, e dei palestinesi che hanno diritto a vivere entro i propri confini statuali riconosciuti. Certo, in questi decenni molto è cambiato, e vanno affrontate tutta una serie di questioni, dal tema appunto dei confini, a quello degli insediamenti israeliani, passando per lo status di Gerusalemme. Ma solo la fine della guerra a Gaza può creare le condizioni per una riapertura del tavolo di discussione che in questi anni è drammaticamente mancato, e la cui assenza ha favorito il proliferare degli estremismi.
Quale il possibile ruolo dei Paesi del Golfo?
I Paesi del Golfo possono giocare un ruolo fondamentale in funzione della pacificazione e della stabilità della regione mediorientale, in primo luogo attraverso la normalizzazione delle relazioni con Israele. Non è un caso che l’incendio mediorientale sia esploso in concomitanza del rinnovato impulso fornito agli Accordi di Abramo con il coinvolgimento dell’Arabia Saudita, e che sia stata utilizzata a fini strumentali la causa palestinese per accentuare le dinamiche della destabilizzazione.
Una Conferenza sulla ricostruzione di Gaza è al momento programmabile o la giudica troppo prematura?
Dal G7 Sviluppo il ministro Tajani ha lanciato l’idea di una Conferenza per la ricostruzione di Gaza, e l’impegno dell’Italia sul piano umanitario si riempie già di contenuti attraverso lo stanziamento di importanti risorse per affrontare l’emergenza ed alleviare le sofferenze delle popolazioni civili, a Gaza come in Libano. Definire e pianificare la ricostruzione è un segnale forte, un messaggio di speranza lanciato al mondo: tacciano le armi, si lavori per garantire a quei popoli un futuro migliore, di pace e di sviluppo.