Il candidato repubblicano ha vinto le presidenziali Usa. Una parte del mondo ne sarà inorridito ma alcuni Paesi autoritari ne saranno entusiasti. Il papa pare un raro punto di resistenza. Il commento di Francesco Sisci
La vittoria di Donald Trump si affaccia su un periodo che si annuncia turbolento. L’America ama le rivoluzioni e quindi una parte almeno l’abbraccerà entusiasta. Una parte del mondo ne sarà inorridito ma alcuni Paesi autoritari ne saranno entusiasti. Il papa pare un raro punto di resistenza.
Senza i tumulti del 6 gennaio 2020, quando Trump resisteva al passaggio di poteri a Joe Biden l’elezione di Trump sarebbe stata una passeggiata per acclamazione popolare. I trumpiani capiranno quindi da questo di non avere bisogno di forzare le cose?
L’elezione sembra sia stata decisa dai temi. Gli americani erano spaventati da inflazione e emigrazione, apparsi più concreti rispetto alla paura di fascismo, tema etereo, agitato dai democratici sostenitori di Kamala Harris. Inoltre evidentemente la maggioranza degli americani è contraria agli eccessi delle teorie woke, e la questione gender contrario al quel senso comune, common sense, tanto caro alla radice della cultura americana.
Poi, c’è stata la differenza tra le personalità. Trump è emerso molto più robusto, Harris più aerea. Harris ha funzionato solo nel confronto, quando Trump è sembrato eccessivo.
Il Paese rimane molto diviso, con una serie di sentenze di tribunale che gravano sul presidente entrante e che probabilmente non andranno tutte via in breve tempo. Questo potrebbe essere un elemento che innervosirà l’America e che la nuova amministrazione potrebbe cercare di risolvere proiettando unità con una politica estera più ferma.
Qui gli spazi sono ancora molto labili. I prossimi tempi, fino al 20 gennaio e i primi mesi dell’amministrazione Trump possono essere di grande incertezza e molte cose possono accadere.
In tendenza, ci dovrebbe essere un accordo con la Russia del presidente Vladimir Putin. Ma il diavolo sarà nei dettagli. Gli Usa di Trump dovranno fare i conti con le prossime decisioni dell’amministrazione corrente di Biden e con il sostegno all’Ucraina di Polonia, Paesi nordici, baltici e del Regno Unito, dove è al potere un governo laburista. Tutti questi Paesi hanno rapporti fortissimi con gli Usa e non sarà facile scaricarli per stringere la mano a Putin.
Potrebbe esserci una ripresa del dialogo con la Cina del presidente Xi Jinping. Ma l’annuncio di dazi contro le esportazioni cinesi e il fatto che Pechino sia diventato di fatto ostaggio della Russia lascia forse non amplissimi margini di manovra per un accordo o anche un pausa nell’avvelenamento progressivo dei rapporti bilaterali. Poi un “patto con Cina” in che termini avverrebbe? Le divisioni con gli Usa riguardano complicatissimi dossier politici e economici dove si incrociano anche interessi e aspirazioni di amici americani vecchi e nuovi, come India, Giappone, Sud Corea, Vietnam o Indonesia.
Più facile un accordo in cui la Russia “vend”’ (cioè tradisca) la Cina all’America, ma anche lì ritornano UK, Polonia e nordici.
La questione in Medio Oriente è più chiara. L’Iran è più isolato e Israele di Benjamin Netanyahu più forte. Teheran ha meno interlocutori ma non è certo che Russia e soprattutto Cina vogliano mollarla. Se il regime di Teheran cadesse la Cina si troverebbe senza più amici in Medio Oriente e quindi fuori dai giochi importantissimi della regione.
Poi c’è l’Unione europea, che Trump non ha avuto in simpatia in passato. Qui Francia e Germania hanno politiche debolissime e una transizione a maggioranze diverse dalle attuali non pare destinata a essere immediata. È un colpo per il rapporto di Mario Draghi e la presidenza di Ursula von der Leyen. Qui già c’era una opposizione di alcuni Stati e della burocrazia di Bruxelles per una spinta unificatrice. La Ue dovrebbe trovare una sponda vera a Washington su questo, ma dovrebbe lavorare di fantasia, perché è probabile che l’Unione europea non sia nelle priorità della prossima amministrazione.
In teoria è un’opportunità per l’Italia per conquistare un rapporto forte con gli Usa e giocarlo con la Ue. La premier Giorgia Meloni in teoria potrebbe avere spazio, ma per questo le servirebbe un’Italia unita e coesa con lei, di certo le questioni sull’autonomia differenziata che spaccano profondamente la nazione, non le fanno gioco. La leader del Pd Elly Schlein ne esce molto indebolita. Non ha sponde in America e il PD forse dovrebbe cambiare direzione di marcia presto.
Il Presidente Sergio Mattarella, appena arrivato in Cina, è messo molto meglio. Egli ha la rara opportunità di essere il primo leader occidentale a incontrare Xi dopo il voto. Questa è una carta importante per Mattarella con gli Usa.
L’America che dovrebbe emergere con Trump potrebbe essere più isolazionista. Invece Putin, reduce dal successo del vertice dei Brics a Kazan, è proiettato ovunque. In termini geopolitici la scommessa di Trump è quella di reindustrializzare gli Usa, dargli vantaggio tecnologia inarrivabile, quindi riaffermare la sua centralità e poi riprendersi tutto. Angelo Codevilla, qualche anno fa, teorizzava secondo queste linee. Le big tech, come il gruppo di Elon Musk, paiono una versione moderna della Compagnia delle Indie, l’organizzazione con cui l’Inghilterra conquistò tutto il subcontinente indiano, con ampi margini di autonomia rispetto a Washington ma sempre americani. Questa privatizzazione della “conquista” funzionò allora, bisognerà vedere se e come funzionerà adesso.
Putin, patto o non con gli Usa, ha mire opposte. Ha uno Stato forte, sotto il suo controllo personale. Vuole allargarsi ovunque, riempire ogni spazio vuoto e lasciare gli Usa isolati. Putin può essere cattivo, ma ha dimostrato di essere uno stratega politico geniale e non è detto che fallisca.