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Con Trump alla Casa Bianca il confronto non sarà facile, ma la coesione transatlantica resterà. Parla Talò

La vittoria di Trump alle elezioni Usa delinea per l’Europa un compito chiaro: fare i compiti a casa, consolidando il proprio ruolo e preparandosi a una interlocuzione non facile con il nuovo inquilino della Casa Bianca. Tra la difesa transatlantica, le spese militari e la competizione con la Cina, gli europei devono prepararsi ad assumere un ruolo più deciso. L’intervista all’ambasciatore Francesco M. Talò

Con la vittoria repubblicana negli Stati Uniti, l’Europa si trova di fronte a sfide che richiedono unità, preparazione e pragmatismo. La presidenza di Donald Trump pone nuovamente l’accento sulla necessità per i Paesi europei di intensificare gli sforzi nella difesa comune, contribuendo maggiormente alla Nato e adattandosi ai toni più decisi che caratterizzeranno le relazioni transatlantiche. Formiche.net ne ha parlato con all’ambasciatore Francesco M. Talò.

Ambasciatore, le elezioni Usa hanno visto la netta vittoria del candidato repubblicano. A quali scenari dobbiamo prepararci ora?

Innanzitutto voglio fare ammenda rispetto alle mie recenti previsioni. Pensavo che sarebbe stato un lungo mese di attesa dei risultati, e invece non è stata nemmeno una notte tanto lunga. Il risultato è stato molto netto e rapido. La vittoria di Trump, tuttavia, non modifica le misure che io ho già altre volte indicato: è tempo per noi europei di fare i compiti a casa. L’Europa deve mettersi molto seriamente a lavorare per essere un interlocutore autorevole di una controparte non facile come Trump. Il quale, tra l’altro, ha la caratteristica di essere molto imprevedibile. Un fattore che è anche un punto di forza del Tycoon.

Questa imprevedibilità avrà impatti anche sugli scenari geopolitici?

In realtà, da parte Usa esistono delle linee-guida e delle tendenze che non cambieranno molto rispetto a quelle di Joe Biden. Gli Stati Uniti, così come qualunque altro Paese, hanno degli interessi nazionali che possono cambiare poco tra un’amministrazione e l’altra. Certo cambieranno i toni, che con Trump si faranno più forti, soprattutto quando si parlerà si sicurezza e di riequilibrare l’onere di assicurare la difesa comune transatlantica.

Il nuovo presidente tornerà a chiedere agli europei di fare di più, anche rispetto alle spese per la Difesa, a partire dal tema del 2%?

Sì, e del resto l’hanno sempre fatto tutti i presidenti americani. Comunque, Trump sarà più assertivo e noi europei dovremo impegnarci di più. La sicurezza transatlantica è un bene che vale per il Nord America così come vale per l’Europa. La necessità di riequilibrare la condivisione degli oneri (burden sharing) è una costante fin dal momento della costituzione della Nato a oggi, e al di là del presidente Usa di turno ha visto e vede tuttora un ruolo molto forte anche del Congresso nel richiedere una maggiore spinta europea. Dobbiamo sicuramente impegnarci a spendere di più e meglio (pur nella consapevolezza che non arriveremo mai ai livelli Usa), in modo aperto ai partner, dagli Usa ai Paesi europei non-Ue, come il Regno Unito.

Il nostro Paese, in questo senso, che ruolo può giocare?

L’Italia possiede una industria della difesa che per sua natura è transatlantica. Questo è tanto più vero se si guarda ai due campioni nazionali, Leonardo e Fincantieri, presenti sia negli Usa, sia nel Regno Unito. Un segnale interessante arriva dalla recente visita del segretario generale della Nato, Mark Rutte, a Roma, dove dopo aver incontrato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Consiglio, Giorgia Meloni, ha visitato gli stabilimenti di Rheinmetall in Italia. Un esempio di una industria di origine tedesca che produce e lavora in Italia ed è adesso impegnata in una importante collaborazione con le imprese italiane. Questo è il significato di fare squadra, cosa che noi europei dovremo potenziare per poter poi lavorare nel contesto atlantico. Non sarà facile, dal momento che sicuramente ci troveremo in uno scenario anche di confronto in ambito Nato.

Quale potrebbe essere il rapporto con l’Unione europea?

Noi saremo degli interlocutori tanto più seri e forti se sapremo presentarci uniti come Unione europea. Naturalmente i singoli Stati continueranno ad avere un ruolo, e Paesi come l’Italia potranno anche avere un peso maggiore rispetto ad altri. Ma quando parliamo di temi come il contenzioso commerciale, la competenza sarà dell’Ue. Sarà una partita non facile. Anche qui, la soluzione è sempre quella di “fare i compiti a casa”, promuovendo l’innovazione e diventando più competitivi, anche seguendo le indicazioni riportate nella relazione di Mario Draghi. Dobbiamo fare ciò restando consapevoli che ci sarà un confronto non facile con gli Usa, che adesso con Trump saranno ancora più sensibili rispetto a questo dossier, a partire dal deficit commerciale. Un tema che interessa in primo luogo la Germania, ma subito dopo anche l’Italia. Dovremo preparaci a una situazione non facile.

Pensa che il focus Usa si sposterà ancora di più verso l’Indo-Pacifico?

Rispetto alla sfida con la Cina, credo che ci sarà una sostanziale continuità, vista anche la vicinanza tra le posizioni del partito democratico e quello repubblicano. Dovremo impegnarci, come europei, a coordinarci con gli Stati Uniti, tenendo però sempre presenti i nostri interessi. Dobbiamo pensare, infatti, che la globalizzazione potrà cambiare caratteristiche, ma non si può dis-inventare. Il decoupling, in questo senso, non è realistico, anche perché non conviene a nessuno. Dovremo, invece, fare de-risking e diversificare. Soprattutto quest’ultima sarà la parola d’ordine. Una necessità iniziata dal momento dell’aggressione russa all’Ucraina. Da allora è apparsa evidente l’importanza di diversificare, per esempio, le fonti di energia, con un’Europa (Germania in primis, seguita dall’Italia) troppo dipendente dal gas russo. Da questo punto di vista, direi che abbiamo conseguito buoni risultati. Oggi, però, siamo ancora troppo dipendenti dall’interscambio con la Cina per le supply chain e le tecnologie. Il focus verso oriente ci ricorda anche che, anche nella sicurezza, l’Europa è troppo dipendente dagli Usa, con la differenza che in questo campo l’obiettivo è continuare a rimanere associati a Washington ma aumentando il peso del pilastro europeo della difesa transatlantica.

Cosa dovremmo aspettarci per i prossimi scenari?

In generale gli attuali scenari internazionali sono caratterizzati da contesti di grande volatilità e incertezza. Quello che possiamo fare è essere pronti all’incertezza e preparati all’imprevisto con una maggiore flessibilità e reattività. Dovremo, altresì, essere anche proattivi, pronti a innovare e a fare qualcosa di nuovo. Questo per noi europei vorrà dire anche avere un diverso atteggiamento psicologico. Finora ha prevalso un’attitudine alla stabilità quale priorità assoluta. Un atteggiamento piuttosto diverso da quello Usa, dove ha sempre prevalso lo spirito innovatore che non si accompagna sempre, per forza, con la stabilità. Questa impostazione è condivisa, oggi, anche da altri Paesi che mirano ad avere un ruolo diverso nello scenario globale. Dobbiamo capire che, alle volte, dovremo assumerci dei rischi, certamente calcolati, per navigare in queste acque nuove. Una sfida difficile, ma che possiamo affrontare. Le prove esistono anche per crescere e noi, insieme agli Usa, dobbiamo ricordaci che da soli non andiamo da nessuna parte. Questo è vero per l’Italia nell’Europa, per l’Europa nella Nato, e per gli Usa. E dovremo ricordarlo anche agli americani. Non sarà facile ma abbiamo persone che possono avere un ruolo importante, come Ursula von der Leyen, Mark Rutte e Giorgia Meloni, con la presidente del Consiglio in particolare che può vantare un governo più stabile rispetto ad altri Paesi e con un ottimo rapporto con entrambi i leader Ue e Nato e, adesso, ritengo, con il nuovo presidente Usa.



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