Il tycoon, appena rieletto, prevede di applicare dazi da circa il 60% sulle merci cinesi, costringendo Taipei a spostare la produzione di molte sue aziende che nella terra del Dragone hanno investito miliardi. Non è detto però che il futuro tra gli Usa e l’isola possa rimanere lo stesso con il cambio della guardia alla Casa Bianca
Donald Trump potrebbe allontanare ancor di più Taiwan dalla Cina. Da quando rimetterà piede alla Casa Bianca, nella seconda metà di gennaio, il presidente repubblicano tornerà alla carica con i suoi dazi con la promessa di renderli ancor più pesanti di quelli già adottati durante la sua prima esperienza. Se quelli generali potrebbero oscillare tra il 10% e il 20% delle importazioni, le tariffe per la Cina saranno molto più alte, forse intorno al 60%. Il che avrebbe effetti devastanti per la seconda economia mondiale – e inevitabilmente anche per quella americana – motivo per cui molte azienda ragionano sul da farsi.
Soprattutto quelle taiwanesi, che da anni sfruttano i prezzi bassi cinesi. Tuttavia, se già le tensioni con Pechino avevo portato il governo di Taipei a chiedere alle proprie società di trovare altri posti, il ritorno di Trump potrebbe accelerare questo processo. “Aiuteremo a trasferire la loro base di produzione il prima possibile”, ha spiegato al Parlamento il ministro dell’Economia Kou Jyh-huei.
La sua idea è quella di incentivare ancor di più gli investimenti negli Stati Uniti, che sulla piccola isola contano parecchio. È lì che si concentra il cuore della produzione di semiconduttori, con la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Limited (Msmc) perno centrale, che ha sborsato 65 miliardi di dollari per costruire una fabbrica anche in Arizona. Un progetto che rientrava nel piano a lungo termine di Joe Biden, che con il Chips Act e altri accordi ha voluto rafforzare questa collaborazione chiave. Motivo per cui il ministro taiwanese non vede pericoli all’orizzonte: “I programmi pluriennali e decennali vengono regolarmente rinnovati da un’amministrazione all’altra. Ci aspettiamo che il Chips Act non faccia eccezione e funzioni senza intoppi sotto Trump”, in quanto nell’interesse stesso di Washington.
La sensazione dei funzionari di Taiwan è che l’isola rimarrà centrale per l’America qualunque sia il presidente che la governi. Così come lo è stata per Biden lo sarà anche per Trump, sebbene la sua volatilità di pensiero – fedele solo ai suoi interessi – rimanga una preoccupazione. Il tycoon ha criticato la posizione di vantaggio sui semiconduttori e ha suggerito di far pagare Taipei per essere difesa seguendo il principio dell’America First. Una suggestione che potrebbe riguardare anche le sue merci.
Per ora non sembra un problema. “La partnership di lunga data tra Taiwan e gli Stati Uniti, costruita su valori e interessi condivisi, porterà a una maggiore prosperità per tutti noi”, ha dichiarato il presidente Lai Ching-te nelle sue congratulazioni a Trump. Per ora però le parole del tycoon pesano in negativo: Tsmc ha infatti perso in borsa. Discorso differente per Intel, che ha invece guadagnato il 5% grazie proprio a Taiwan e al principio trumpiano di tutelare la produzione americana.
Nonostante non sia interessata dal mercato dei chip, anche Tesla ha compiuto un balzo non indifferente: +15% il giorno dopo la vittoria elettorale. Merito della scelta del suo fondatore Elon Musk, che ha deciso di puntare su Trump. Vuoi vedere che i complimenti ricevuti dagli altri amministratori delegati – da Apple ad Amazon, da Meta a Google, da OpenAI a Microsoft, da Cisco a Dell – non siano proprio per ingraziarsi il favore del prossimo presidente d’America.