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Nell’Artico gli Usa temono Pechino. Ma dovrebbero preoccuparsi di Mosca

Negli ultimi anni l’attenzione statunitense verso la presenza cinese nell’Artico è cresciuta in modo costante. Ma focalizzandosi su Pechino, Washington rischia di ignorare il principale attore ostile nell’area

Nonostante l’Indo-Pacifico sia la sua più naturale e centrale arena, la competizione tra Washington e Pechino si dipana anche attraverso il resto del mondo, andando a toccare aree dal diverso grado di sensibilità politico-strategica sparse per tutti i continenti del globo terracqueo. Non sorprende dunque che la regione artica, con il suo incommensurabile valore economico e militare (ma non solo), rappresenti un terreno di scontro sempre più rilevante nel corso degli anni tra Pechino e Washington. La crescente attenzione degli Stati Uniti nei confronti dell’azione cinese nell’Artico è bene individuabile nel susseguirsi delle dottrine ufficiali americane riguardo alla regione in questione. Nell’edizione del 2013 della “Strategia Artica” pubblicata dal Dipartimento della Difesa Usa la Repubblica Popolare non viene mai menzionata, mentre nella successiva edizione del 2016 viene nominata soltanto una volta. La versione 2019 (rilasciata durante il primo mandato di Donald Trump) dava alla Cina un ruolo più significativo, anche se non come attore primario. Ma nella versione 2024 la Repubblica Popolare, pur non essendo una “nazione artica”, viene identificata come la principale sfida agli interessi statunitensi nella regione. Il ritorno al potere di Trump (che nelle sue prime nomine ha confermato di voler adottare un approccio decisamente “hawkish” verso Pechino) sembra suggerire che questa tendenza sia destinata ad accentuarsi ancora di più. Con il rischio di diventare disfunzionale.

In un articolo pubblicato su Foreign Policy, i due esperti del Norwegian Institute for Defence Studies Jo Inge Bekkevold e Paal Sigurd Hilde fanno un punto della situazione. Nonostante i suoi sforzi per espandere la propria presenza nell’Estremo Nord, Pechino ha attualmente un’influenza politica, economica e militare molto limitata. La presenza maggioritaria tra gli “Stati artici” di democrazie vicine al blocco occidentale ha comportato una grande difficoltà di penetrazione nei loro territori da parte della Repubblica Popolare, fatto salvo per alcuni tentativi di investimento e per pochi progetti di natura apparentemente scientifica (ma in realtà con uno spiccato carattere dual-use) già attenzionati dal congresso americano. La limitata influenza che Pechino ha sviluppato nell’artico è stata possibile grazie alla sua collaborazione con la Russia, vero protagonista della politica artica tra le potenze non occidentali. Ma nonostante questa partnership i risultati sono, appunto, limitati: sul piano economico l’unica azione “concreta” è stata la partecipazione al progetto russo di Lng di Yamal, mentre la cosiddetta “Polar Silk Road” rimane ancora materiale per la propaganda; sul lato militare la People’s Liberation Army manca di una presenza fissa nell’Artico, mentre le poche operazioni in loco (principalmente di carattere aeronavale) sono state condotte assieme alla flotta e all’aviazione di Mosca.

Ed è proprio Mosca, anziché Pechino, a rappresentare de facto la vera minaccia alla sicurezza nazionale statunitense nell’Artico. La Russia può rivendicare quasi la metà dell’Artico secondo la Convenzione della Nazioni Unite sul diritto del mare, rendendola dunque il più grande Stato artico per superficie. La penisola di Kola ospita la sede della Flotta del Nord, che gestisce la maggior parte dei sottomarini strategici armati con armi nucleari, e che rappresenta una potenziale minaccia per le linee di comunicazione marittime dell’Atlantico. Non a caso le principali discussioni a livello politico e strategico-militare dell’Artico intrattenute da Washington con i suoi alleati riguardano principalmente la Russia. E anche la maggior parte dei dispiegamenti militari è finalizzata a confrontarsi con le forze armate di Mosca (ben presenti nell’area), non con quelle di Pechino.

In sintesi, per quanto la Cina rappresenti un avversario sul piano globale, gli Stati Uniti devono evitare di cadere vittime di alcuni bias nello strutturare il loro approccio alla regione artica. I rischi sono molteplici, e Washington dovrebbe ridurli al minimo, sia alla luce della multidimensionale importanza dell’Artico, che della pericolosità dei due attori revisionisti.



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