Per assicurarsi il totale piazzamento dei 1.400 miliardi di titoli emessi sul mercato, operazione dalla quale dipendono le speranze di una crescita più tonica, il Dragone chiede aiuto alla grande finanza estera
Alla fine servirà un po’ di Occidente per aiutare la Cina a far quadrare i conti sul proprio debito. Pechino, in più riprese, ha piazzato sul mercato circa 1.400 miliardi di dollari di titoli di Stato, con i quali raccogliere la liquidità per tentare di imprimere alla sua economia un’accelerazione che fino ad oggi non si è vista. E ora, forse, ancora più urgente visto le avvisaglie arrivate dalle principali banche d’affari internazionali le quali, fiutando l’odore del nuovo protezionismo americano in coincidenza dell’amministrazione Trump-bis, hanno prontamente tagliato le previsioni di crescita del Dragone.
Problema, il mercato potrebbe non rispondere come si deve. Le banche cinesi, quelle a controllo statale e per questo in mano al partito, per intendersi, hanno fatto la loro parte, abbuffandosi di bond sovrani ed esponendosi al contempo ai rischi di una loro svalutazione, con conseguenti perdite in bilancio. Ma forse non basta, serve gettare il classico cuore oltre l’altrettanto classico ostacolo. E allora ecco che da Pechino è arrivato l’ordine di scuderia: provare a coinvolgere le grandi istituzioni finanziarie e commerciali straniere per piazzare un altro po’ di debito cinese.
E così, le autorità per regolamentazione del mercato e la stessa vigilanza ha deciso dall’oggi al domani di intensificare gli incontri con le banche estere per avere la loro opinione sugli sforzi del Paese per sostenere la crescita e anche ottenere un supporto nell’allocazione dei titoli. In particolare, la richiesta pervenuta da Pechino è quella di ricevere una sorta di guida su come piazzare il debito cinese presso i mercati extra-cinesi, facendo insomma aumentare l’appetito degli investitori stranieri.
D’altronde, la Cina si trova di fronte a un difficile gioco di equilibri nel tentativo di convincere i mercati occidentali del fatto che le sue politiche avranno successo, senza agire ulteriormente per stimolare direttamente la domanda interna e dunque la crescita. Non è chiaro che cosa abbiano risposto le banche sondate e interpellate, ma una cosa è certa. Pechino non può permettersi di fallire e perdere la partita del debito, perché proprio su di esso ha scommesso quella crescita che il mercato esige.
E dunque, senza un aiutino dall’esterno, sarà molto difficile per la Cina centrare i suoi obiettivi di Pil, perché arriveranno meno soldi di quanti ne sono stati venduti. Qualche sponda, in realtà, è già arrivata: l’anno scorso, l’Egitto ha per esempio fatto ricorso ai cosiddetti Panda bond, emettendo obbligazioni in valuta cinese sul proprio mercato. Ed è pronto a ripetere l’operazione, proprio grazie al sostegno offerto dalla Banca asiatica per gli investimenti. Ma forse non basta.