Il direttore della Nato Defense College Foundation: “I Brics hanno una guida problematica, questo è noto, però finché tutto si svolge in linea con ciò che l’alleanza fa, nessuno può sollevare dubbi”. Ma se ammessa, la Turchia sarebbe il primo membro della Nato ad aderire all’alleanza Brics che si definisce un contrappeso alle potenze occidentali e i cui aderenti hanno posizioni in contrasto con l’Occidente praticamente su tutti i dossier più rilevanti, come le guerre in corso
Sarebbe il primo Paese Nato a giocare su due tavoli così distanti e diversi. Da tempo la Turchia aveva bussato alla porta del gruppo delle economie emergenti Brics, che comprende Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Etiopia, Iran, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. E oggi ad Ankara è stato offerto lo status di Paese partner: lo ha dichiarato ufficialmente il ministro del Commercio turco Omer Bolat. Non si tratta di un passaggio usuale, data la peculiarità del Paese in questione, membro della Nato e player significativo, tanto nel Mediterraneo quanto nel Medio Oriente. Ciò produce una serie di riflessioni che andranno necessariamente fatte (in Ue e in Usa).
La strategia di Erdogan
Un mese fa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, in occasione del vertice dei leader dei Brics a Kazan, aveva caratterizzato la sua presenza in quell’assise come fondamentale per la prosecuzione della sua strategia: promuovere la cooperazione economica con gli stati membri, e farlo non in concorrenza all’alleanza atlantica ma piuttosto come un’azione parallela. Membri del governo hanno aggiunto che l’eventuale adesione turca ai Brics non avrebbe alcun effetto sulla Nato.
Se ammessa, la Turchia sarebbe il primo membro della Nato ad aderire all’alleanza Brics, che si definisce un contrappeso alle potenze occidentali e i cui aderenti hanno posizioni in contrasto con l’Occidente praticamente su tutti i dossier più rilevanti, come le guerre in corso.
Gli effetti sulla Nato
Cosa può cambiare politicamente in seno alla Nato dopo la richiesta turca di adesione alla Brics?
“Non cambia nulla – risponde a Formiche.net Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation – perché la Nato non si occupa di questioni che toccano la politica estera di un Paese, se non in rapporto diretto a questioni che riguardano in modo concreto l’alleanza, come ad esempio le minacce alla sicurezza. Altrimenti sono cose che restano a livello bilaterale. I Brics naturalmente hanno una guida problematica, questo è noto, però, finché tutto si svolge in linea con ciò che l’alleanza fa, nessuno può sollevare dubbi. Basti pensare a quando Viktor Orban fece la quadruplice visita fra Putin, Zelensky, Biden e Trump: in Europa si fece un gran dibattito ma nella Nato no”.
Guerre, geopolitica e Trump
L’intreccio con dossier sensibili, come il gas nel Mediterraneo orientale, il rapporto con Israele, la nuova amministrazione americana e le relazioni con l’Ue (ancora senza governo), in che modo influenzeranno le future mosse di chi (Russia e Cina) detiene la guida del gruppo Brics?
“È presto per dirlo – aggiunge – perché da un lato si sa che esiste un rapporto molto consolidato fra Putin e Trump, nonostante le apparenze. Come poi ciò si rifletta sulla questione ucraina, si tratta di una risposta che ha molteplici direzioni: si spera che non siano troppo speditive. Riguardo alla Cina la cosa è più complessa: c’è un consenso bipartisan sulle questioni cinesi. Ovvero Pechino viene considerata come un pericoloso competitore commerciale e persino strategico. Però bisogna vedere se ci saranno accordi commerciali che permetteranno di allentare la tensione e soprattutto far vedere che Trump è capace di gestire questo dossier a vantaggio della gente che lo ha eletto. Si tratta di una partita molto aperta che contempla, nel mezzo, anche le questioni taiwanesi. Su Israele osservo che c’è un rapporto molto consolidato, ma la designazione del primo ambasciatore per Tel Aviv, se confermata, è diretta verso una persona che in Israele voterebbe per l’estrema destra: anche questo elemento intriga molto gli israeliani ma non è un chiaro segnale di come poi si vorrà gestire il resto del Medio Oriente. Probabilmente – conclude – si cercherà di continuare la strada imboccata dagli accordi di normalizzazione, detti di Abramo, e a questo punto le partnership della Nato credo potranno portare utili sinergie”.