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Perché davanti alla minaccia russa, l’Europa deve essere unita. Scrive Terzi

Per il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata (Fratelli d’Italia) le guerre in Cecenia e le tragedie come il teatro Dubrovka e Beslan ci ricordano la brutalità del potere russo e la necessità di un’Ue unita per garantire una pace giusta e duratura. Ecco il suo intervento all’evento conclusione della mostra “Berlino abbraccia Berlino” negli spazi della Galleria Russo a Roma

Il 35° anniversario della caduta del Muro di Berlino si è inserito nel quadro post-elettorale in evoluzione degli Stati Unti, assumendo così un significato particolare, dato che in questi giorni vanno definendosi le principali linee della nuova amministrazione americana. In tal senso, preoccupa l’intensificazione dell’offensiva militare russa nei confronti del popolo ucraino. Era stata, infatti, riferita nei giorni scorsi dal Washington Post una telefonata tra il presidente eletto americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin, poi negata dal Cremlino, mentre le speranze di un’attenuazione dei bombardamenti venivano subito contraddette da violentissimi attacchi che secondo diversi osservatori potevano sembrare persino intimidatori nei confronti dell’America.

Un quadro in evoluzione e non certo tranquillizzante. Esso fa emergere con estrema chiarezza l’esigenza di una incondizionata coesione europea, tra gli Stati membri e al loro interno tra le principali forze politiche nel percorso di nomina della nuova Commissione.

È fondamentale che l’Unione europea superi le fratture che dimostrano impostazioni settarie e strumentali rispetto a quelli che dovrebbero essere i valori e gli interessi che guidano l’Unione europea, tanto più in un frangente così drammatico come quello di una guerra di aggressione scatenata dalla Russia in Europa.

Occorre lavorare per salvaguardare l’obiettivo del raggiungimento di una pace giusta. Per farlo in piena consapevolezza, non possiamo dimenticare che il sistema di potere instauratosi da più di vent’anni a Mosca ha dietro di sé, ed alimenta tuttora, un’inarrestabile ondata di sangue.

Nel 1999, Putin, ancora nelle vesti di direttore dell’FSB, erede del KGB, contribuì in prima persona alle decisioni di riaccendere la seconda guerra contro la Cecenia. La prima guerra era terminata nell’agosto 1996 con la firma degli Accordi di Khasavyur che stabilirono la sconfitta di Mosca.

In Cecenia, i militari russi fecero strage della popolazione civile. Il conflitto terminò nel 2009 con la nomina a Presidente della Cecenia di un fedelissimo di Putin, Ramzan Kadyrov. Grozny fu rasa al suolo. Il numero di vittime varia a seconda delle fonti. Complessivamente, sarebbero circa 200.000 i civili e i combattenti periti nei due conflitti. Per non parlare di tutte le altre conseguenze. Nel 2004, esperti internazionali dichiaravano che “la Cecenia è la regione con più mine al mondo”.

Al Cremlino le modalità di gestione del potere si sono rivelate nella loro più cruda violenza anche in occasione della presa degli ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 e nella scuola di Beslan, in Ossezia del Sud, nel 2004, per mano del terrorismo ceceno.

In entrambi i casi, l’uso indiscriminato della forza da parte di Mosca causò lo sterminio di centinaia di ostaggi, senza che i familiari delle vittime ottenessero mai indagini serie da parte delle autorità. Il deputato Sergey Yushenkov, che aveva tentato di aprire un’inchiesta parlamentare sul caso del teatro Dubrovka, fu assassinato mentre rientrava a casa.

Anche Anna Politkovskaja, che sulla Cecenia aveva rivelato i gravissimi abusi delle forze russe, intervenne nelle trattative con i terroristi ceceni, contro la volontà del Cremlino. Il suo coinvolgimento provocò un primo tentativo per assassinarla. L’eroica giornalista non poté invece sfuggire ai carnefici il 7 ottobre 2006 (compleanno di Putin) quando venne colpita anche lei sulla soglia di casa.

Dobbiamo sempre ricordare con ammirazione un italiano martire di questa repressione: Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ritrovato morto a Tbilisi nel 2000 mentre stava indagando sul conflitto ceceno.

L’eliminazione fisica degli avversari fa parte di un metodo di cui sono state vittime gli ex agenti segreti Alexander Litvinenko e Sergei Skripal (salvatosi da un tentato omicidio assieme alla figlia Yulia), la giornalista Natalia Estemirova, Sergei Magnitsky, avvocato del finanziere Bill Browder, e gli oppositori Boris Nemtsov e Alexei Navalny.

Complessivamente, sono almeno 25 i giornalisti russi uccisi da quando Putin si è insediato al Cremlino. Se non con la morte, è con il carcere o l’esilio, che il regime russo si sbarazza delle voci indesiderate. È il caso di Vladimir Kara-Murza o di intere organizzazioni come Memorial.

È dunque la libertà, la base della nostra identità quale italiani, europei, occidentali, la posta in gioco. È indicativo che sempre nel 1989, a Piazza Tienanmen, l’esercito cinese aprì il fuoco contro giovani manifestanti che volevano una Cina libera e democratica.

Le caratteristiche di un sistema di potere, con cui Mosca aveva dominato interi popoli europei fino a 35 anni fa, sono riemerse in pieno con l’aggressione della Russia all’Ucraina. L’uso indiscriminato della forza e la repressione contro i civili sembrano farci tornare a un punto di partenza estremamente pericoloso per il futuro dell’Unione.

Perciò, non possiamo consentirci incertezze di sorta nel munirci di una governance europea, una nuova Commissione, che sostenga l’urgente processo attraverso il quale tutti gli Stati membri, e più in generale l’intera comunità euroatlantica, possano dotarsi di un credibile sistema di sicurezza, difesa e deterrenza.



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