Il primo, Grillo, ha perso tutto: il controllo del Movimento creato con Gianroberto Casaleggio e, elemento a giudizio di chi ben lo conosce non meno rilevante, i 300mila euro l’anno che il “gesuita” Conte gli aveva “francescanamente” assicurato in cambio della non belligeranza. A Matteo Salvini, tutto sommato, è andata meglio. Il commento di Andrea Cangini
Beppe Grillo è (politicamente) morto e Matteo Salvini non sta tanto bene. Il primo, Grillo, ha perso tutto: il controllo del Movimento creato con Gianroberto Casaleggio e, elemento a giudizio di chi ben lo conosce non meno rilevante, i 300mila euro l’anno che il “gesuita” Conte gli aveva “francescanamente” assicurato in cambio della non belligeranza. È, dunque, ufficiale, il Movimento 5 Stelle non esiste più, non esistendo più i suoi fondatori e soprattutto essendo stati uno ad uno rimossi tutti i punti fermi della propria identità politico-ideologica. Esiste, oggi, il Partito di Giuseppe Conte. Non più “grillini”, dunque, ma “contiani”; contiani che, com’è ovvio, oggi rivendicano la propria indipendenza per poi chiudere fatalmente un accordo con il Pd a ridosso delle elezioni del 2027. Per quanto mutevoli appaiano ai giorni nostri le condizioni della politica, appare ragionevole immaginare che il sogno di Giuseppe Conte di tornare a Palazzo Chigi sia destinato a rimanere tale.
A Matteo Salvini, tutto sommato, è andata meglio di Grillo. Formalmente è ancora lui, Salvini, il capo della Lega. Ma il partito è in caduta libera. La fuga degli amministratori regionali e comunali dal Centro e soprattutto dal Sud ufficializza il fallimento del progetto “nazionale” che secondo “il Capitano” avrebbe dovuto sostituire, ampliandone le potenzialità, lo storico progetto bossiano nordista delle origini. Le cronache del recente consiglio federale leghista riportano violenti malumori dei dirigenti veneti e lombardi nei confronti del segretario, l’impallinamento dell’autonomia differenziata cara al ministro Calderoli da parte della Corte costituzionale è, per così dire, un segno dei tempi. Tempi difficili, difficilissimi. Senza neanche mettere in conto l’attivismo del generale Vannacci, creatura salviniana apparentemente in procinto di ribellarsi al proprio demiurgo come la creatura protagonista del celebre romanzo di Mary Shelley, “Frankenstein”. Con tutta evidenza, Matteo Salvini ha perso da anni il tocco magico, e la sollevazione popolare contro il nuovo Codice della strada nato all’ombra del ministero dei Trasporti rappresenta solo l’ultima conferma di una teoria ormai ampiamente acquisita.
Piccola nota personale. Ai tempi del loro massimo splendore, durante la scorsa legislatura presi la parola nell’aula del Senato e misi esplicitamente in guardia Luigi Di Maio, allora formalmente leader del Movimento 5 Stelle, e Matteo Salvini. Questo il passaggio oggi d’un qualche interesse: “La demagogia e la propaganda fanno parte della politica, ma, come dicevano le vecchie nonne illustrando le ricette di cucina, quanto basta. Oltre una certa misura, infatti, la propaganda si mangia la politica e la rende impotente”. Allora, i grillini avevano quasi il 33% dei consensi e la Lega sfiorava il 18. Le percentuali attuali (10% il partito di Conte, 8% quello di Salvini) alludono alla manifestazione concreta di una crescente impotenza.