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Tagliare il canone Rai a carico dei contribuenti è insensato. Il commento di Cangini

Si può discutere all’infinito sulle ragioni profonde per cui il partito di Antonio Tajani ha impallinato l’emendamento leghista, è fuori discussione il fatto che quell’emendamento non avesse alcuna attinenza con l’interesse generale né con le linee di politica economica che sembrano ispirare le scelte del ministro Giancarlo Giorgetti e più in generale del governo Meloni. Il commento di Andrea Cangini

La maggioranza di centrodestra si è dunque spaccata sul canone Rai, con Forza Italia che ha votato assieme alle opposizioni contro l’emendamento della Lega volto a ridurne l’importo. La spiegazione dietrologica è che la riduzione del canone avrebbe incoraggiato una aumento dei tetti pubblicitari per la TV di Stato, con ciò danneggiando gli interessi di Mediaset, e che Forza Italia si sia mossa di conseguenza. È possibile che la dietrologia abbia un fondamento, ma pur sempre di dietrologia si tratta. Per esprimere un giudizio di merito, dunque “politico”, non è necessario addentrarsi nelle fumerie dei retroscena: è sufficiente analizzare i fatti per come si sono prefigurati sulla scena pubblica.

Ridurre da 90 a 70 euro l’importo del canone Rai avrebbe significato mettere nelle tasche di tutti i cittadini italiani, ricchi e poveri che fossero, 20 euro in più all’anno. 0,054 euro al giorno. Una misura evidentemente insensata e sostanzialmente inutile. Una misura classificabile nella logica dei bonus, logica che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva detto, riuscendoci solo in parte, di voler rigettare.

Identica misura fu attuata anche con la legge di bilancio dello scorso anno, determinando la paradossale conseguenza per cui il ministero del Tesoro si è sentito in dovere di rimborsare la Rai dei mancati incassi: 430 milioni di euro. Pessimo esempio di gestione della spesa pubblica, dal momento che si attribuisce un costo allo Stato e non per questo si garantisce un concreto vantaggio per il cittadino. Se simile misure avesse una logica, la logica non potrebbe che essere quella di bottega. Bottega leghista: accreditare, cioè, l’idea di una forza politica che mette i soldi, anche se una manciata di spicci, nelle tasche degli italiani anziché toglierli.

Naturalmente, vale anche in questo caso l’ipotesi dietrologica. Cioè a dire che la Lega si sia mossa in questo senso per dare una botta a Forza Italia minacciando gli interessi di Mediaset. In entrambi i casi, quale che sia la logica che ha ispirato l’emendamento, si sarebbe trattato di un’iniziativa fine a se stessa, priva di interesse pubblico e sostanzialmente a carico della fiscalità generale. Dunque finanziata da ciascun singolo contribuente.

Si può discutere all’infinito sulle ragioni profonde per cui il partito di Antonio Tajani ha impallinato l’emendamento leghista, è fuori discussione il fatto che quell’emendamento non avesse alcuna attinenza con l’interesse generale né con le linee di politica economica che sembrano ispirare le scelte del ministro Giancarlo Giorgetti e più in generale del governo Meloni.



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