Nel momento in cui i nodi di decenni di politica militare vengono al pettine, l’Italia non può più permettersi i lussi del passato. Procedono acquisizioni e ricerca, ma i fondi sono lontani dal garantire gli standard minimi di prontezza operativa. Così il generale Luciano Portolano, capo di Stato maggiore della Difesa, in audizione davanti alla commissione Affari esteri e Difesa del Senato, per relazionare sul Documento programmatico pluriennale 2024-2026
L’Italia, come il resto dei Paesi occidentali, si trova a dover fare i conti con uno scenario geopolitico in rapida evoluzione e caratterizzato da una sempre maggiore pervasività dell’elemento conflittuale. In poche parole, il mondo si riarma e si scalda a una velocità che non avremmo mai immaginato, appena dieci anni fa. In questo contesto di competizione sempre più instabile, lo strumento militare italiano rischia di non riuscire a sostenere gli oneri che ne derivano. A mancare non è la consapevolezza, ma il denaro. In occasione della sua audizione davanti alla commissione Affari esteri e Difesa del Senato, il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, ha esposto i contenuti nel nuovo Documento programmatico pluriennale della Difesa (Dpp). Il quadro che emerge dalla relazione del generale evidenzia la consapevolezza circa le criticità attuali della Difesa, nonché la direzione da seguire per risolverle, ma lancia un allarme chiaro sui fondi: non bastano per garantire i requisiti minimi di sicurezza nazionale.
I piani della Difesa per il 2024-2026
Il Dpp è lo strumento tramite il quale il ministero della Difesa alloca i fondi che ogni anno vengono destinati alle spese militari. Data l’intrinseca natura dei programmi, i quali richiedono tempistiche estese per essere finalizzati, il documento si articola su di un orizzonte temporale di tre anni, salvo essere adeguato ogni anno per il triennio successivo. Il Dpp 2024-2026 riflette l’esigenza di ammodernamento dello strumento militare nazionale e comprende diverse intuizioni relative ai nuovi trend tecnologici in riferimento agli scenari militari odierni e venturi. La versione più recente pone l’attenzione sulla digitalizzazione e sulla sempre maggiore importanza di un consolidamento della componente interforze e multidominio, anche tramite l’implementazione di ulteriori assetti spaziali e cyber.
Per quanto riguarda la componente terrestre, la priorità rimane il potenziamento delle forze corazzate che, se già prima erano considerate al limite dell’impiegabile, oggi risultano totalmente inadeguate a uno scenario ad alta intensità. Fa male ammetterlo, ma davanti alle difficoltà che carri avanzati come il Leopard 2 A8 e l’Abrams M1A1 hanno registrato in Ucraina, l’ammodernamento dei 125 carri Ariete dell’Esercito italiano assume più i contorni di un rito onorifico che di un vero adeguamento agli scenari conflittuali odierni. Proprio lo stato critico della componente corazzata ha spinto all’accordo tra Leonardo e Rheinmetall per creare la joint venture che produrrà i nuovi mezzi dell’Ei, basati sul carro Panther Kf-51 e sul trasporto di fanteria Lynx. Questa nuova generazione di mezzi sarà cruciale per risollevare il livello della componente corazzata, la quale al momento fa affidamento sui cacciacarri Centauro II che però, sebbene sia tra i veicoli migliori al mondo nella categoria, non possono concretamente assolvere a tutte le funzioni di un carro armato vero e proprio. Il parco artiglieria vedrà ammodernati gli ottimi obici pesanti semoventi PzH 2000, mentre si prevede l’acquisizione di un nuovo sistema medio che sostituisca i cannoni trainati FH-70, che con tutta probabilità sono stati consegnati massicciamente all’Ucraina. Inoltre, sempre in relazione all’artiglieria, è previsto lo sviluppo di un ultra-light howitzer che equipaggi i reparti appiedati e che possa essere aviolanciato direttamente sul campo e l’acquisizione dei sistemi Himars, rivelatisi estremamente efficaci in Ucraina.
Sul piano delle capacità navali, forse le più importanti per un Paese mediterraneo come l’Italia, il Dpp conferma quanto era stato previsto in precedenza e fa alcune aggiunte interessanti in termini di ricerca e sviluppo. Sono confermati i programmi per l’acquisizione di ulteriori due fregate Fremm in configurazione evoluta (Evo), di due cacciatorpedinieri di nuova generazione (Ddx), che sostituiranno le due navi classe Durand de la Penne prossime al disarmo, e di ulteriori sottomarini U-212 Nfs, probabilmente in configurazione Evo. Inoltre, registrando i progressi fatti nell’ambito del dominio subacqueo, il Dpp mette in campo fondi per lo sviluppo di soluzioni di tipo unmanned per compiti Isr (Intelligence, surveillance and reconnaissance) e per la tutela delle infrastrutture critiche sottomarine. Quest’ultima voce è importante, perché segnala il grado di consapevolezza della Difesa nazionale rispetto all’utilità degli assetti unmanned in termini operativi e capacitivi.
Anche i programmi dell’Aeronautica si mantengono sostanzialmente coerenti con il passato. Bene l’acquisto di ulteriori 25 F-35 (in configurazione mista A e B), per un totale di 115 caccia di quinta generazione nelle disponibilità delle Forze armate, e l’opzione d’acquisto di 24 Eurofighter Typhoon, i quali però non andranno ad aggiungersi a quelli già in servizio ma si limiteranno a sostituire gli esemplari prossimi al pensionamento. Il programma Gcap, per lo sviluppo congiunto con Regno Unito e Giappone di una famiglia di sistemi di sesta generazione, continua ad assorbire gran parte degli investimenti e conferma l’importanza del progetto per il mantenimento del cosiddetto technological edge.
Infine, per quanto concerne scorte e munizionamento, Portolano sottolinea l’impegno prioritario per il replenishment degli stock dei sistemi di difesa aerea e missilistica, così come la necessità, sempre più pressante, di costituire una riserva produttiva strategica nazionale per ridurre il grado di dipendenza dall’estero.
Migliora la ripartizione, ma i fondi restano insufficienti
“Le stime per i prossimi anni – pari all’1,57% per il 2025, all’1,58% per il 2026 e all’1,61% per il 2027 – ancorché in aumento, sono lontane dal conseguimento di quello che non costituisce più un semplice obiettivo, ma un requisito minimo per garantire il funzionamento e l’ammodernamento dello strumento militare”. Così il capo di Smd riassume il rapporto tra le risorse finanziarie e le esigenze della sicurezza nazionale. Gli ultimi anni hanno registrato un miglioramento dal punto di vista della ripartizione dei fondi della Difesa. Se da manuale i fondi per le tre funzioni della spesa (personale, investimento e esercizio) dovrebbero essere rispettivamente ripartiti nella misura del 50%, 25% e 25%, la Difesa italiana ha lungamente scontato una ripartizione eccessivamente sbilanciata. Fino a poco tempo fa, le spese per il personale (stipendi, pensioni, alloggi ecc.) assorbivano il 60% del budget, con chiare ripercussioni sul fronte del procurement e dell’addestramento. In base al Dpp 2024-2026 la spesa è ora ripartita in: 53,35% per il personale, 36% per gli investimenti e 10,66% per l’esercizio. Il recente (seppur minimale) incremento delle spese militari ha contribuito a gonfiare la quota per gli investimenti e a ridimensionare la fetta dedicata al personale (rimasta pressoché invariata in termini reali) ma non è riuscito a fare altrettanto con le spese di esercizio che, come ricorda Portolano, “inficiano pesantemente il raggiungimento della necessaria prontezza operativa dello strumento militare”.
In sintesi, l’Italia ha iniziato a spendere di più, ma è ancora molto lontana dal raggiungere i volumi di spesa degli altri Paesi e necessari a garantire la prontezza delle Forze armate agli scenari di conflitto. Una prima suggestione del generale Portolano riguarda il rifinanziamento del “fondo investimenti difesa” su base triennale, onde svincolare i programmi di ammodernamento dall’imprevedibile tagliola annuale della legge di bilancio. Benché la proposta sia corretta e in linea con le esigenze di uno strumento militare che necessita di trasformazioni rivoluzionarie sia in termini quantitativi che qualitativi, lo stesso generale sottolinea che il problema di fondo resta lo stesso: i fondi non bastano. Se in passato, con uno scenario internazionale prevalentemente stabile e pacifico, il tema delle spese militari poteva giustamente collocarsi nel campo delle diverse sensibilità politiche, oggi questo lusso non è più nelle disponibilità dell’Italia. L’instabilità multilivello che caratterizza le dinamiche geopolitiche degli anni presenti e a venire impone il consolidamento delle prerogative di sicurezza nazionale e non dovrebbe essere strumentalizzata in un ragionamento di mutua esclusione tra diplomazia e Difesa. Entrambe le componenti sono l’una la base dell’altra e il loro stato di prontezza non è una velleità politica di parte, ma una concreta questione di sicurezza nazionale.