Dopo il Wsj, la Faz analizza il percorso strategico della premier italiana, sia alla luce della volontà delle “anatre zoppe” Scholz e Macron di decidere in solitaria e nomine Ue, sia dopo lo scatto italiano che ha portato Fitto alla vicepresidenza esecutiva. “A due anni buoni dall’arrivo al potere a Roma, Giorgia Meloni ha una notevole influenza a Bruxelles e Washington. Riuscirà a farne buon uso?”
Costruttrice di ponti. In sei mesi è cambiato tutto a Bruxelles per Giorgia Meloni, e adesso tra i grandi capi d’Europa è quello meglio posizionato nel 2025. La sentenza positiva per il governo italiano arriva dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung che, pochi giorni dopo un’analisi del Wsj sulla possibilità che la premier italiana ora ha di essere ponte tra Usa e Ue, riflette non solo sui due anni di governo ma sugli ultimi sei mesi di vita politica europea, dove Meloni ha compiuto un grosso passo in avanti.
Pivot in Ue
Secondo il quotidiano tedesco è passata dalla possibile emarginazione dopo il voto contrario a Ursula von der Leyen, anche in virtù dello scatto in avanti del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron che hanno deciso le nomine più rilevanti, a pivot de facto per due ragioni: il buon risultato elettorale di giugno della destra di Ecr e di Fratelli d’Italia, sommato al peso specifico (anche internazionale) crescente che Meloni ha conquistato.
“Meloni ha sostituito il ministro europeo uscente e collega di partito Raffaele Fitto come uno dei sei vicepresidenti esecutivi della Commissione europea con il portafoglio chiave per la coesione e le riforme. Ciò significa che l’Italia ha il peso politico nella Commissione che merita un membro fondatore dell’Ue e la terza economia dell’Unione – e non solo secondo Meloni. Meloni ha consolidato la sua posizione nell’Ue e come figura di spicco della ‘Nuova Destra’ in Europa. Ciò non cambierà quando presto si dimetterà dalla carica di presidente dell’Ecr dopo più di quattro anni”.
In rosso è cerchiato un rapporto su tutti: quello con Manfred Weber. Scrive la Faz che Meloni ha superato il “test dei tre punti” di Weber per la cooperazione con il Ppe: è “pro-Europa, pro-Ucraina e pro-stato di diritto”. Ciò significa che Meloni, sostenuta da una coalizione stabile e da un indice di gradimento interno costantemente elevato, “è dalla parte dei due grandi democristiani vincitori delle elezioni europee di giugno, che segneranno il lavoro della Commissione di Bruxelles e Parlamento a Strasburgo nei prossimi cinque anni”. A ciò si aggiungano i progressi sul Pnrr, con obiettivi raggiunti e rate versate a Roma.
Il quotidiano tedesco definisce Meloni costruttrice di ponti tra Budapest e Bruxelles, ruolo grazie al quale è riuscita a garantire che il sostegno europeo a Kyiv non scemasse o fosse fermato dal veto di Viktor Orban. “Il vostro talento diplomatico potrebbe essere necessario anche per garantire una posizione comune ai partner transatlantici nel confronto con Russia e Cina”, aggiunge. A differenza del premier magiaro, Meloni non ha scelto la strada dello scontro ideologico, ma del compromesso pragmatico tramite un filo diretto con Weber e von der Leyen (e cita il lavoro diplomatico dell’italiano di fede meloniana Nicola Procaccini, co-presidente di Ecr).
Ponte verso la Casa Bianca
Un secondo punto di analisi concerne il futuro (ma non troppo in là) di Meloni come parte costruens del nuovo rapporto che l’Ue dovrà tessere con gli Usa di Donald Trump. La Faz parte da un punto di vista pragmatico, definendo anatre zoppe i governi di Parigi e Berlino che, chiamati a dialogare con Washington quando la Casa Bianca imporrà le tariffe americane sulle importazioni dall’Asia, non potranno avere la medesima autorevolezza rispetto a chi, il premier italiano, guida un esecutivo stabile e con numeri oggettivi.
A ciò si aggiunga il legame storico tra Italia e Usa, anche grazie al fatto che Roma ha aziende della difesa competitive a livello internazionale come Leonardo e Fincantieri, che operano anche negli Stati Uniti. “Roma non può raggiungere l’aumento della spesa per la difesa promesso da Meloni dall’attuale 1,6% al margine obiettivo della Nato del 2% della produzione economica del Paese esclusivamente attraverso ulteriori investimenti governativi nelle società citate. Ma un corrispondente impulso alla crescita potrebbe attrarre ulteriori capitali privati, dare slancio all’economia italiana nel suo complesso e rafforzare la posizione dell’Italia nella Nato e nei confronti del suo partner Usa”.
Infine le relazioni con i repubblicani americani, con le partecipazioni alla Conservative Political Action Conference (CPAC) negli Stati Uniti, quando assieme a Donald Trump “entrambi erano una sorta di politici dell’opposizione ostracizzati. Il fatto che Meloni e Trump siano entrambi riusciti a raggiungere una sorprendente (ri-)ascensione alla più alta carica politica probabilmente unirà ulteriormente gli ex outsider. Inoltre i due sono partner naturali che agiscono come rappresentanti del piccolo popolo e come oppositori dell’establishment di sinistra in politica e nei media”, conclude.