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Ingovernabilità e speculazione. Ecco cosa rischia la Francia secondo Darnis

Dopo l’annuncio del premier Barnier di ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione per adottare il bilancio sul welfare, Mélenchon ha annunciato una “mozione di censura” contro il governo. Posizione sostenuta anche dal RN. Questo apre uno scenario di sostanziale ingovernabilità. L’esecutivo potrebbe cadere entro due giorni, costringendo Macron a nominare un nuovo premier. Ma non sarà semplice. Conversazione con Jean-Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza

E adesso? Sì, è legittimo chiederselo. Ma soprattutto è verosimile che in Francia si creerà “una situazione di ingovernabilità” che avrà come conseguenza un’ulteriore “indebolimento dell’Europa”. In una congiuntura complessa e delicatissima, specie sul piano geopolitico. Jean Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza, su Formiche.net, ragiona a caldo sulla crisi di governo francese che, come componente di una tempesta perfetta, viaggia in parallelo con le grandi incognite che si allungano sulla Germania.

Dopo l’annuncio del premier Michel Barnier, di ricorrere all’articolo 49.3 della costituzione per adottare il bilancio sul welfare, la France Insoumise (Lfi) di Jean Luc Mélenchon ha annunciato come previsto una “mozione di censura” (sfiducia) contro il governo. Posizione sostenuta anche dal RN. Che situazione si sta profilando?

Una vera e propria crisi parlamentare e di governo. Non è uno scenario inedito, per certi versi richiama quanto accaduto nel 1962. A questo punto, dopo le dichiarazioni di voto di Lfi e Rn, la partita ce l’hanno in mano i socialisti. Anche se è verosimile immaginare che terranno coerentemente la loro linea e quindi confermeranno la sfiducia. Il governo, potrebbe cadere fra un paio di giorni.

A questo punto tornerebbe in gioco davvero il presidente Macron?

Sì, in maniera forte. In queste settimane è stato piuttosto distaccato ma qualora dovesse cadere l’esecutivo, Macron sarebbe costretto a nominare un altro primo ministro anche se le circostanze sono piuttosto complesse. Fermo rimanendo che dopo la “carta” Barnier non sono tantissime le chance che si può giocare. Non è così banale.

Il Rassemblement National in questa fase è determinante. Cosa l’ha spinto a votare con la sinistra?

Probabilmente concorrono una serie di fattori. Innanzitutto il rapporto con Barnier è sempre stato molto complesso, tanto più che il premier non è particolarmente portato alla mediazione, ma è piuttosto un uomo da muro contro muro. Il RN in questo contesto non ha avuto lo spazio che si immaginava di avere. Il problema è che questo tipo di scelta politica genera uno scenario molto complesso per la Francia.

Le legislative per il RN non sono andate propriamente nel migliore dei modi. 

No, il partito di Le Pen (anche per le sue traversie giudiziarie) non è in fase espansiva. E, in termini di agenda, Bardella e i suoi hanno capito che la “materia” russa va lasciata stare.

Quali i pericoli più imminenti?

L’ingovernabilità non è mai un buon segno per un Paese che rappresenta un pilastro per l’Unione Europea sotto tanti punti di vista. Il rischio è che la Francia si “fermi” e che soprattutto sia oggetto di un attacco speculativo. D’altra parte è l’effetto che si ottiene sui mercati laddove gli esecutivi si dimostrano instabili.

L’Italia, in questo contesto è la più forte. 

Non so se sia la più forte, ma è sicuramente il Paese che in questo contesto ha il governo più stabile. Ma, con Francia e Germania in queste condizioni non va molto lontana da sola. Occorre un’inversione di tendenza generalizzata per fare in modo che questa triangolazione fra i Paesi torni a essere il più possibile virtuosa.

In che modo?

Prima superando le crisi politiche, cercando il più possibile di limitare i danni – per cui, laddove se ne ravveda la necessità, ricorrendo anche a governi di scopo o tecnici. E, prioritariamente, fissando in cima all’agenda politica dell’Ue i temi legati alla difesa comune e alle infrastrutture tecnologiche.



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