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Quando un cannone sparava su Parigi. I 100 anni del film “Entr’acte”

Il 4 dicembre 1924 veniva proiettato ufficialmente «Entr’acte» (1924) di René Clair, capolavoro del cinema dadaista. Soggetto di Francis Picabia, musica di Erik Satie. Un film anticipatore del cinema nonsense e surrealista di Robert Desnos e Luis Buñuel. Un ricordo di Eusebio Ciccotti. Con una nota storica (1977) di Mario Verdone

Non era affatto facile negli anni Settanta, per ragazzi al primo anno di università, con il sogno di studiare il cinema, accedere al patrimonio cinematografico “classico”.  Per i film “vecchi”, “classici”, “del muto”, i docenti universitari, pochi, avevano a disposizione qualche copia in 16 mm. Altre opere (scelta limitata) erano affittabili da un paio di circuiti di distributori in 16mm, tra i quali la gloriosa San Paolo Film: a queste piccole società di distribuzione si deve diffusione della cultura cinematografica dal dopoguerra agli anni Settanta: erano una enciclopedia visiva insostituibile.

Le proiezioni grazie ai cigolanti proiettori in 16mm, con le casse talvolta gracchianti, talaltra con il sonoro distorto, avvenivano, in alcuni casi, anche nei licei più “attivi”, grazie a qualche docente studioso di cinema; ma anche a studenti particolarmente interessati alla settima arte (Giuseppe Tornatore, qualche anno fa, mi raccontava, come da solo, dopo aver chiesto il permesso al suo preside di liceo, rimise in funzione un vecchio proiettore 16mm accantonato e attivò un corso di cineforum). I cicli televisivi erano rari. Le vhs arriveranno negli anni Ottanta.

Lo studente universitario se voleva vedere quei film di cui parlava Georges Sadoul nella sua Storia mondiale del cinema (Feltrinelli, 1967), mitica “bibbia” di allora, doveva recarsi nei cineclub: lì si recuperavano film d’autore dal muto agli anni Sessanta. Un ruolo lo giocavano anche i cinema d’essai, nei quali si “recuperavano” film sino a sei o sette anni dopo la “prima”: ricordo, per esempio, di aver visto nel 1979, C’eravamo tanto amati (1974, Ettore Scola) o nel 1980, Il deserto dei Tartari (1976, Valerio Zurlini).

Noi studenti della Sapienza eravamo fortunati. Il professor Mario Verdone ci portava delle copie di classici in 16 millimetri. O li affittava dal Goethe Institut, sito in via del Corso (diverse volte ci andavo io a ritirarli: li portavo a mano, prendendo l’autobus).

Una mattina di primavera del 1980, il prof. Mario Verdone si presentò con un film, nella classica custodia di cuoio con cui si trasportavano le “pizze” in 16mm. «Oggi vedrete qualcosa di interessante»: era la copia di Entr’acte (1924). A fine proiezione eravamo entusiasti e scioccati per la stranezza innovativa di un corto girato sessant’anni prima. Scene “assurde”, alogiche, riprese fuori asse; con un cannone, reduce della Grande Guerra, cha camminava da solo (animazione accelerata: poi ci fu detto che il cannone a ruote, era stato piazzato sulla terrazza del Théâtre des Champs Elysées): la bocca del cannone si girava e sparava verso lo spettatore, su Parigi. Seguivano altre scene alogiche, allusive, decontestualizzate; alcune al rallenti, altre accelerate,

Di Entr’acte ci colpì soprattutto la famosa scena della processione di un funerale: il carro funebre è condotto da un dromedario, adornato, anziché di corone di fiori, di ghirlande di pane, dalle quali i partecipanti, distinti signori e signore borghesi, staccano pezzi di pane e li mangiano. Poi, il carro con il feretro si stacca e, grazie alla accelerazione, prende velocità su una strada in discesa: principia la folle corsa del feretro e dei partecipanti gettatisi all’inseguimento (tutto in accelerato). La bara finisce in un prato incolto, trafelati alcuni partecipanti del corteo funebre la raggiungono: il coperchio si apre e il defunto, in perfetta salute, sorridendo, si alza e, ironicamente, con la sua bacchetta da prestigiatore, indirizzandola sui presenti, li fa sparire tutti e, infine, dirigendola su di sé, sparisce anch’egli. A fine proiezione Mario Verdone ci fece notare tutti i rimandi all’avanguardia, parlò del testo alogico di Francis Picabia, dei riferimenti a Méliès, delle riprese fuori asse, del montaggio.

Dopo la lezione, un gruppetto di noi studenti, si andava a commentare i film visti a lezione in un bar di Piazza Indipendenza, a fianco al quotidiano “la Repubblica” (la nostra aula di proiezione era al settimo piano dello stesso stabile, ma sul lato verso la stazione Termini). Quel giorno Entr’acte, ci aveva stregato, ci suggerì dei collegamenti con le diverse arti, con il cinema comico americano, ma anche con la filosofia del Novecento. Ricordo chiaramente lo studente Daniele Luchetti che già dimostrava di saper cogliere i minimi dettagli di un film.

Entr’acte, dopo una prima proiezione avvenuta il 27 novembre 1924, insieme al balletto Relache, fu riproiettato ufficialmente il 4 dicembre 1924 e, nel giro di pochi mesi, le proiezioni si ripeterono. René Clair veniva chiamato a presentarlo dai suoi colleghi artisti e intellettuali. Il nonsense, l’alogicità, il mondo surreale mostrato nel corto dadaista avrebbero anticipato in parte anche i film surrealisti tratti da Robert Desnos (Emak Bakia, 1926, Etoile de mer, 1928) realizzati da Man Ray, nonché il primo film di Luis Buñuel, Un chien andalou (1929).

Per noi ragazzi degli anni Settanta quella proiezione fu indimenticabile: Entr’acte era entrato nella nostra piccola cineteca mentale di innamorati del cinema d’autore. Non lo avremmo mai dimenticato.

Entr’Acte: un film di immagini “Liberate”di Mario Verdone 

Il 27 novembre 1924 i Balletti Svedesi di Rolf De Maré rappresentavano al Teatro degli Champs Elysées di Parigi il balletto instanteneista in due atti Rèlache di Francis Picabìa e un intermezzo cinematografico Entr’acte di René Clair. Vero intermezzo, ha detto Piacabia, e «intermezzo nella noia della vita monotona e della convenzioni piene di rispetto ipocrita e ridicolo». Entr’acte vuole mostrare «il piacere d’inventare, senza rispettare nulla se non il desiderio di scoppiare dal ridere, perché riedere, pensare, lavorare, hanno lo stesso valore sono indispensabili l’uno all’altro».

[…] Nel film, dichiara René Clair «l’immagine è distolta dal suo dovere di significare, nasce da una esperienza concreta. Nulla mi sembra più rispettoso del film di questi balbettamenti visuali».[…]

Entr’acte va visto e ascoltato. Le inquadrature oblique o capovolte, “liberate”, l’immagine del feretro che corre, del cacciatore che risorge, della sparizione degli inseguitori, senza Satie possono perdere parte dello slancio e della gioia che Entr’acte, in tutto il suo insieme, possiede».

Da Mario Verdone, Le avanguardie storiche del cinema, Sei, Torino, 1977.


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