Il 5 dicembre 1924 usciva «Isn’t Life Wonderful» del noto David Wark Griffith (Intolerance,1916). Con esterni girati nella periferia di Berlino, Griffith parlava di immigrazione, miseria e odio causati dalla Grande Guerra. Il ricordo dello storico del cinema Eusebio Ciccotti
Nel 1924 il cinema di David Wark Griffith, il primo grande autore della settima arte (da lui presero tutti: da Charlie Chaplin a Sergej M. Ejzenštejn, da Louis Delluc a Abel Gance, da Friedrich W. Murnau a Fritz Lang), dopo circa quindici anni di cinema, si avvia verso una fase discendente. In Usa, le stelle di Chaplin, Buster Keaton, Harold Loydd sono allo zenit. In Germania, nonostante la crisi del primo dopoguerra, il cinema avvia la felice stagione creativa dell’Espressionismo (Robert Wiene, Lang, Murnau); in Francia abbiamo “l’Impressionismo” (Georges Sadoul), con Louis Delluc, Abel Gance, Julien Duvivier, René Clair, oltre alle ricerche d’avanguardia); infine, in Unione Sovietica sta esplodendo il realismo socialista di S. M. Ejzenštejn e Dziga Vertov.
A Griffith si devono capolavori quali The Birth of a Nation (Nascita di una nazione, 1915: in quindici anni incassa 50 milioni di dollari); Intolerance (id.: 1916: considerato un capolavoro assoluto dagli storici del cinema: ma fu disastro economico: Griffith pagò i debiti di produzione per anni); Broken Blossoms (Giglio infranto, 1919: film antirazzista); Way Down East (Agonia sui ghiacci, 1920: il primo forte film antimaschilista costato la cifra record di 175.000 dollari, ne incassò però 500.000).
Griffith, lo sappiamo, tra il 1915 e il 1920, rinnova il linguaggio del cinema: dal dettaglio al primissimo piano; dei carrelli aerei grazie all’uso di mongolfiere, al piano-sequenza; dal montaggio in parallelo (episodi indipendenti, collocati in differenti luoghi ed epoche ma con lo stesso tema, formanti un unico lungometraggio) a sua volta contenente il montaggio in alternato (due azioni svolgentesi nello stesso tempo cronologico ma in luoghi diverse). Da aggiungere il, subito conosciuto, «finale alla Griffith»: ossia un personaggio o una situazione salvato/risolta con un montaggio alternato corto, di immagini di pochi secondi, atte ad aumentare la suspense per poi scioglierla con l’happy end.
Sul versante dei “contenuti”, circa il suo impegno sociale ed etico, Griffith, dopo l’abbaglio ideologico preso in The Birth of a Nation, in cui giustificava storicamente il Ku Klux Klan, con Intolerance si fa perdonare da pubblico e stampa, stendendo, praticamente, un “manifesto” sul diritto alla tolleranza. Con Broken Blossoms difende l’immigrato (un cinese) contro il razzismo dei bianchi; in Way Down East denuncia senza mezzi toni il maschilismo di un volgare uomo ricco (si approfitta di povere e indifese ragazze, illudendole e poi lasciandole, appena rimangono incinte: qui è Anna, una insuperata Lilian Gish).
Sempre interessato ai temi sociali, Griffith rimane scosso dalle ondate di migrazioni e situazioni di povertà nell’Europa centrale del Primo dopoguerra. Decide di dedicare al tema Isn’t Life Wonderful (1924), sugli immigrati polacchi giunti in Germania nel biennio 1920-21 a causa della povertà (le didascalie del film informano lo spettatore che ogni giorno muoiono di fame, tra tedeschi e immigrati, 60 persone).
In linea con la sua estetica di fedeltà al mondo rappresentato Griffith gira gli esterni in Germania. Lo spettatore è invitato a seguire la storia di una famiglia polacca: nonna su una sedia a rotelle; padre anziano, ex professore di scuola; moglie; e due figli: Theodor, studente che cerca lavoretti per pagarsi l’università, e Paul, ex soldato. Poi c’è Inga, una orfanella, cresciuta dalla nonna e dai genitori insieme ai due figli. Grazie al limitato aiuto delle autorità tedesche del tempo la famiglia (come altri immigrati) viene alloggiata in una minuscola e povera casa composta di due piccole stanze.
Tutti si nutrono ogni giorno di rape. Il padre corregge dei compiti di studenti (non è indicata quale materia). Theodor ha trovato lavoro come cameriere in un Night Club (è vietato portare a case avanzi di cibo; un giorno però tira fuori dalla sua borsa di cuoio, felicissimo, un pezzo di lardo regalatogli da clienti americani).
Paul, tornato da poco dal Fronte, appare debole. Dopo alcuni giorni si ammala: a causa dei gas respirati sui campi d battaglia. Il medico e il Pastore intorno al suo letto, con accanto i famigliari. Il medico, «Ci sono poche speranze»; il Pastore, «Ci vorrebbe un miracolo». Passano dei giorni. Improvvisamente, Paul migliora e guarisce. Paul e Inga si innamorano. Vorrebbero sposarsi ma non è possibile. Non solo non hanno da mangiare, neanche un buco dove vivere. Nonna e genitori bocciano la proposta.
Paul, riacquistate le forze, decide di coltivare patate in un minuscolo campo messo a disposizione dalla amministrazione comunale. Costruisce anche una piccola casa di legno, acquistando le assi con il suo lavoro come operaio. Il raccolto delle patate è davvero abbondante. Basteranno per tutto l’anno e oltre. Cibo garantito per entrambe le famiglie, la vecchia e quella che Paul e Inga andranno a formare, con gli eventuali bambini. Ora ricevono il permesso di sposarsi.
Ma i poveri del quartiere, capeggiati da un disoccupato violento, il “Gigante” (“Giant”: Hans von Schlettow: potrebbe essere il fratello del bullo che picchia Charlot in The Kid), bloccano i due fidanzati, con il loro carretto stracolmo di patate, sulla strada del rientro, nel bosco. Inga spiega a Giant che non sono speculatori al nero, come altri, ma che Paul ha coltivato le patate. Le hanno appena raccolte. Hanno lavorato tutto il giorno. Quel raccolto è il loro necessario per sposarsi. Il gruppo dei malintenzionati sembra convinto. Tutti stanno desistendo, ma poi Giant, invidioso che Inga, da lui osservata precedentemente nel quartiere con interesse, abbia un fidanzato, dà il via all’assalto del carretto e picchia Paul aiutato dagli altri.
Anche Inga, nel tentativo di difendere il raccolto, è colpita e scaraventata a terra. Andati via gli assalitori, ella, raccoglie le forze e, trascinandosi, si avvicina al fidanzato, immobile al suolo. Paul respira. Inga, tira un sospiro di sollievo: «Credevo ti avessero ucciso». Lui: «Le patate, tutte le hanno prese?». Lei a fatica si alza e aggrappandosi alla spondina del carretto, guarda dentro. Espressione sconsolata: lo spettatore e Paul capiscono. Ora Inga lo abbraccia, sollevandogli la testa: «Tu sei vivo. Non è meravigliosa la vita?»
Dopo un anno Inga, con il velo bianco da sposa (lo ha cucito la nonna, seduta tutto il giorno sulla sua sedia), Paul e tutta la famiglia, entrano nella casetta di legno.
Isn’t Life Wonderful è un film dall’insospettato taglio realistico raro da trovare negli anni Venti. Griffith abbandona in parte gli studios (mantenuti solo per le scene di interni) e decide di girare nella periferia di Berlino, nel Grunewald e intorno alle sponde dell’Havel. Le scene di massa dell’incipit con un fiume di immigrati proveniente dalla Polonia, tutti affamati, ricoperti di logori abiti, malcurati, alcuni arrabbiati altri depressi, sono immagini che riuscirono a passare il visto della censura americana poiché si parlava di povertà e immigrazione all’estero. Ma Griffith alludeva anche alla forte immigrazione, con i relativi problemi di integrazione e razzismo, presenti negli States, soprattutto in grandi città come Chicago, New York, San Francisco (ricordiamo, per esempio, che John Fante, siamo nello stesso periodo, era un bambino, veniva ogni giorno offeso come immigrato, e chiamato “mangiaspaghetti”).
Lo stile di Griffith appare, nella prima parte del film, piuttosto ingessato, come se mancasse di ritmo narrativo: infatti il cambio di piani di ripresa è decisamente ridotto; abbondano piani di insieme, alcuni teatrali, a scapito di primissimi piani. Assente il ricorso al “dettaglio”. Verso il finale il film si accende, nel famoso inseguimento a danno dei due giovani da parte del gruppo dei disoccupati. Qui Griffith opta per due formidabili back-travelling, sui fidanzati mentre correndo si tirano dietro il carretto, come fossero due puledrini.
Se Carol Dempster (Inga) ha dei momenti di brillantezza recitativa, la performance di Neil Hamilton (Paul) è piuttosto incolore e piatta. La forza del film è nei temi: denuncia di una guerra che ha causato morte, malattie e povertà (quando gli assalitori picchiano Paul, Inga grida al Gigante «Siete bestie!» e il Gigante replica: «Sì siamo bestie! Ci hanno ridotto così la guerra e la fame!»).
Un’altra qualità di Isn’t Life Wonderful riposa nel nuovo ruolo sociale affidato alla donna: Inga è quella che cura Paul, colei che ha il coraggio di chiedere ai genitori di Paul il permesso per il matrimonio; ella si oppone per prima all’aggressione dei malintenzionati e replica a Giant.
In tutto il cinema di Griffith i personaggi femminili mostrano un grado di coscienza sociale “superiore” a quella dei personaggi maschili. In Intolerance la “Ragazza dei monti”, che mangia cipolle, ha coraggio da vendere e combatte per difendere il suo Re; in Broken Blossoms la figlia dell’ubriacone e violento pugile si innamora di un immigrato cinese; in Way Down East Anna si ribella e fa arrestare il disonesto Lennox.
Dopo Isn’t Life Wonderful la carriera di Griffith volge lentamente al tramonto. Egli, purtroppo, gira curando troppo il set, spendendo più di quello che la produzione ha pianificato, originando debiti e, poi, causando addirittura il fallimento della United Artists (fondata da lui, nel 1919, insieme a Douglas Fairbanks, Mary Pickford e Charlie Chaplin). Successivamente, con i pochi fondi rimastigli finanzierà The Struggle (1931), seria denuncia dell’alcolismo, giudicato dalla critica coeva troppo sentimentale. Un clamoroso fiasco commerciale, con poche proiezioni.
Eppure, da alcuni critici, The Struggle è considerato un anticipatore del cinèma-verité degli anni Sessanta. David Wark Griffith, ritiratosi dal cinema, vivrà serenamente la sua vecchiaia, tra il Sud degli States, e Los Angeles, dove si spegnerà il 23 luglio del 1948.