Skip to main content

Cosa dice la scelta del nuovo ambasciatore Usa in Cina

Trump sceglie un ex senatore con esperienze nelle commissioni Armed Force e Foreign Affairs e con una lunga esperienza nel business asiatico per la diplomazia con la Cina. A Pechino arriverà David Perdue

“Sono davvero onorato di accettare la nomina del presidente Trump per diventare il prossimo ambasciatore degli Stati Uniti nella Repubblica Popolare Cinese. Avendo vissuto in Asia in due occasioni, capisco la gravità di questa responsabilità e non vedo l’ora di attuare la strategia del presidente per rendere il mondo di nuovo sicuro e rappresentare gli interessi degli Stati Uniti in Cina”. Con queste parole, David Perdue ha accolto la nomina a nuovo ambasciatore americano a Pechino proposta da Donald Trump. Una scelta parte di una strategia più ampia per rafforzare l’influenza americana in un contesto di crescente competizione strategica con la Cina.

Thinking outside the box

Perdue, ex senatore della Georgia e uomo d’affari con decenni di esperienza internazionale, si distingue rispetto ad altre figure chiave della squadra di Trump, come Marco Rubio e Mike Waltz, noti per le loro posizioni hawkish sulla Cina. La scelta di Trump sembra rispecchiare un approccio a due livelli: da un lato, l’adozione di politiche aggressive verso Pechino, dall’altro, il tentativo di presentarle attraverso un linguaggio orientato alla reciprocità e alla negoziazione economica. La mossa non è banale se si pensa, come ricordano tutti in queste ore, che nella sua carriera imprenditoriale, Perdue è stato un forte sostenitore dello spostamento di posti di lavoro dagli Stati Uniti all’Asia per risparmiare sui costi di produzione — posizione apparentemente in contrasto con la politica America First che caratterizza l’iniziativa politica trumpiana (e il generale senso strategico dell’America adesso e negli anni a venire).

Ryan Fedasiuk, ex consigliere per gli affari bilaterali presso l’Ufficio di Coordinamento per la Cina del Dipartimento di Stato (formalmente viene chiamato “China House”) ha commentato efficacemente la nomina spiegando all’Asia Nikkei che il successo di Perdue dipenderà dalla sua capacità di mantenere un equilibrio delicato: garantire l’accesso ai funzionari di alto livello cinesi pur rappresentando fermamente le posizioni di Trump e del popolo americano. L’esperienza di Perdue nel mondo degli affari e nella legislazione (unico repubblicano a essere stato membro della commissione Armed Services e Foreign Relations) sarà cruciale per affrontare temi dove prosperità economica, sicurezza nazionale e diritti umani si intrecciano.

Inoltre, la traiettoria professionale di Perdue, che ha ricoperto ruoli dirigenziali in aziende come Reebok e Dollar General e ha vissuto a Singapore e Hong Kong, lo posiziona come una figura utile a spiegare ai cinesi che davanti a una reciprocità transazionale le policy trumpiane sulla Cina potrebbero anche essere più contenute. Non a caso Trump ha descritto Perdue come un “amico leale”, sottolineando come le sue competenze saranno “preziose” per costruire “una relazione produttiva con i leader cinesi”.

Indipendentemente dal peso reale che l’ambasciatore avrà nella costruzione delle decisioni su Pechino, la nomina di Perdue invia un chiaro messaggio sulla volontà di impostare la relazione con Pechino su una base di interesse reciproco (che entrambe le potenze leggono in realtà come diretto e personale), puntando sulle sue competenze aziendali per facilitare negoziati economici concreti. Tuttavia, i critici che vedono la possibilità che la diplomazia diventi una funzione dell’influenza aziendale, mettono in guardia sui rischi di un approccio eccessivamente focalizzato sugli interessi economici, a scapito delle priorità strategiche fondamentali per gli Stati Uniti.

Narrazioni e interessi

Le relazioni tra Stati Uniti e Cina si sono leggermente riprese dal punto più basso toccato fino a un anno fa, quando c’era stata una netta interruzione del dialogo istituzionale (anche a livello militare), e la nomina di Perdue si inserisce in un contesto di tensioni crescenti su Taiwan, diritti umani e soprattutto (con Trump) commercio. La promessa del presidente eletto di introdurre tariffe del 60% sulle importazioni cinesi aggiunge ulteriore pressione, rendendo cruciale il ruolo dell’ambasciatore nel tradurre questa politica in un messaggio che Pechino possa accettare come parte di una relazione transazionale e non esclusivamente punitiva.

Anche perché, ci sono ancora tante, tantissime aziende americane che dipendono dal mercato cinese. Il successo di Perdue, che deve ancora ottenere la conferma senatoria prevista dalla Costituzione statunitense, dipenderà dalla sua capacità di comunicare in modo credibile e chiaro le posizioni del presidente Trump — che sulla Cina potrebbero riflettere un consenso più ampio all’interno della politica e della società americana — evitando confronti retorici, e probabilmente lavorando per quella discussione business-oriented.

In linea di massima, questo genere di situazione potrebbe non dispiacere a Xi Jinping, con il leader cinese consapevole che la Cina ha rallentato la sua crescita economica e deve accettare qualche compromesso. La nomina di Perdue può essere letta da Pechino come un messaggio duplice: un invito al dialogo economico ma anche un avvertimento che la pazienza americana è limitata. La sua esperienza, che combina pragmatismo aziendale e sensibilità politica, potrebbe rappresentare un’opportunità per costruire quel canale di comunicazione che mitighi l’escalation delle tensioni. Resta da vedere come anche Pechino sceglierà di gestire la competizione (e la sua narrazione).


×

Iscriviti alla newsletter