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Così Jolani vuole cambiare volto alla Siria

Il leader del principale gruppo rivoluzionario vuole dimostrarsi capace di prendere in mano l’intero Paese. Jolani rende potabili gli ex qaedisti e punta a risolvere la questione siriana

Una volta Abu Mohammed al Golani (inglesizzazione di al Jolani, meno in voga un tempo) era una figura misteriosa. Non si conosceva nemmeno il suo volto, guidava la Jabhat al Nusra, collegata ad al Qaeda, la seconda più forte milizia presente in Siria sul lato delle opposizioni (la prima era l’ex Isis, mentre tra i governativi imperava Hezbollah) e si muoveva sotto estrema copertura. Per dire, Taysser Allouni di al Jazeera raccontò che le regole di sicurezza a cui aveva dovuto sottostare per poter parlare con lui erano state più rigide di quelle utilizzate da Osama Bin Laden in una precedente intervista, che lo stesso Allouni fece nell’ottobre del 2001 – soltanto un mese dopo l’attentato alle Torri Gemelle.

Quel tempo era il 2013: a distanza di undici anni il contesto in Siria è clamorosamente cambiato, e nel giro di poco più di dieci giorni si è piombati indietro di oltre dieci anni. La guerra civile è tornata a essere combattuta, più o meno, dopo che per un decennio si era assistito a un sanguinario, mostruoso consolidamento del regime. Sono cambiate le regole di forza. Ora Jolani (non più a là inglese) si fa intervistare dalla CNN, dove dichiarava che è questo il momento di “rovesciare il regime di Bashar al Assad”. È lui il più forte nel Paese, è lui che sta cacciando Assad. E la Jabhat al Nusra non esiste più ma si è ingrandita ed è diventata Hayat Tahrir al Sham (HTS): sganciata da al Qaeda dal 2019, offre adesso mosse simboliche al grande pubblico, è ormai di gran lunga la più grande milizia in Siria e sta conquistando città dopo città verso un potere attualmente indefinibile. Quella del 2019 non è stata “una conversione sulla via di Damasco”, ma piuttosto il frutto di una ragionata strategia che gli ha permesso innanzitutto il supporto coperto di Ankara e poi di entrare nel tessuto siriano locale senza essere visto come un estremista attentatore.

Nato a Riad nel 1982, dove suo padre lavorava come ingegnere petrolifero, Ahmed Hussein al-Shara, noto come Jolani, è cresciuto nei sobborghi di Damasco. Nel 2003, poco prima dell’inizio dell’invasione americana, si trasferì in Iraq, dove venne arrestato per tendenze radicali dalle autorità locali e incarcerato a Camp Bucca, la famigerata prigione in cui anche Abu Bakr Baghdadi — il leader qaedista che nel 2014 diventerà Califfo dopo aver forgiato in carcere la sua organizzazione — aveva trascorso diversi mesi. Dopo essere stato rilasciato nel 2008, Jolani tornò a far parte di al-Qaeda, ora guidata dallo stesso Baghdadi, che lo nominò responsabile delle operazioni a Mosul. Successivamente, inviato in Siria come fiduciario di Baghdadi, Jolani creò una brutale organizzazione jihadista che si fece conoscere attraverso attacchi suicidi. “Il regime non crollerà mai se non con il potere di Allah e delle armi,” dichiarò al Nusra in un messaggio video del febbraio 2012, rivendicando i suoi attentati suicidi. Poi Baghdadi ruppe con “La Base”, creò i prodromi dello Stato islamico, mentre Jolani restò qaedista, e tra quello che ai tempi era l’Isis e la Jabhat al Nusra iniziò l’inimicizia. Diversi anni dopo, con Idlib sotto controllo, Jolani ha rinominato al Nusra (per due due volte) e annunciato che il suo obiettivo principale era quello di rovesciare il regime di Assad e non combattere la jihad contro altri Paesi. “Non consentirò che la Siria diventi un trampolino di lancio per attacchi contro l’Occidente”, diceva già nel 2015 — quando l’Is era il primo problema di sicurezza per l’Occidente (e non solo).

Partita pochi giorni fa da Aleppo, la Milano siriana dove Julani si è fatto riprendere nella cittadella mentre ringraziava i suoi combattenti e incontrava la folla, la riscossa rivoluzionaria ha puntato su Homs, altra importante città centro-occidentale, presa senza nemmeno combattere. Durante la marcia di liberazione le persone hanno accolto Jolani e le milizie che si sono unite a HTS, e in molti casi lo hanno fatto anche i soldati governativi — che non sono stati mai famosi per combattere. Non è chiaro quanto sia vero nella nebbia della guerra (che in Siria è da sempre fittissima), ma fonti locali raccontano che Jolani (qui serve ricordare di nuovo che un tempo era un jihadista affiliato ad al Qaeda) abbia offerto ad alcuni parroci di diventare sindaci ad interim dei villaggi liberati dall’oppressione assadista. Forse sono informazioni che fanno parte della riqualificazione di immagine che il leader vuole darsi e vuole dare alla sua milizia.

Il piano è vasto: Hayat Tahrir al-Sham sta valutando la possibilità di sciogliersi per consentire la piena integrazione delle strutture civili e militari in nuove istituzioni che riflettano l’ampiezza della società siriana, spiega il giornalista turco Ragip Soylu. Aleppo sarà gestita da un “organismo di transizione”, “saranno rispettate le distinte norme sociali e culturali della città in tutta la loro diversità, a tutte le fazioni dell’opposizione in lotta verrà chiesto di abbandonare le aree civili nelle prossime settimane”. I dipendenti pubblici torneranno al lavoro e le norme sociali e culturali della città saranno rispettate da tutte le confessioni. C’è una volontà chiara: Jolani vuole evitare di far percepire sé e i suoi come jihadisti, perché sa che adesso in palio c’è la Siria per intero e sa che la narrazione dei ribelli terroristi è quella che ha permesso la vittoria del regime (in diversi Paesi europei si parlava di riqualificare diplomaticamente il satrapo siriano, vincitore ambiguo sul terrorismo, dittatore considerato comunque migliore dei tagliagole, secondo una visione pragmatica che accettava la narrazione russa e iraniana).

Il racconto di Jolani va interpretato. Il suo gruppo è organizzato anche nella gestione della narrazione. Grazie alle capacità d’uso delle nuove tecnologie e degli spazi sociali digitali, dimostrate fin da subito dai gruppi rivoluzionari siriani; e grazie all’assistenza turca anche su questo versante. Dall’altra parte il regime aveva vinto momentaneamente la guerra non sul campo, ma nella propaganda, dove ha ricevuto la stessa assistenza avuta in combattimento da parte di Russia e Iran — che nel settore dell’infowar sono potenze globali. E ora c’è anche l’AI ad aiutare su tutto, per primo nella propaganda. Dunque occorre filtrare ogni cosa, osservare, registrare, verificare e aspettare. Non è chiaro cosa succederà, ma secondo chi segue le evoluzioni siriane con minuzia di particolari, come l’intelligence israeliana, non c’era nemmeno da ragionare su Homs — che sarebbe passata subito in mano ai ribelli, come è stato— ma l’attenzione va di nuovo spostata su Damasco, la capitale e le sue dinamiche interne. Intanto il rais cerca un accordo e una via di fuga (ammesso sia ancora in Siria) e la decisone è in mano a Jolani. Se come sembra anche i russi e gli iraniani stanno evacuando, allora Assad è davvero appeso a un filo.

Charles Lister, esperto del Middle East Institute che segue la situazione in Siria praticamente da sempre, ricorda che quello che stiamo vedendo è sorprendente per velocità dei risultati ottenuti dai rivoluzionari. Però siamo a questo punto perché, con maggiore chiarezza dal 2020, HTS si è preparata militarmente (creando unità speciali, drone force, missili auto-prodotti). “Ma altrettanto importante quanto le capacità militari è il lavoro preparatorio svolto per facilitare il suo progresso, in particolare in anni di impegno con tribù, notabili delle minoranze e altri organismi sociali che esistono oltre i confini Idlib”, la città in cui erano stati confinati dal regime e dagli alleati, sperando che da lì non si muovessero più. “il gruppo ha sviluppato un talento per la diplomazia”, dice Lister. “Non sottovalutiamo il significato delle recenti dichiarazioni e retorica di HTS nei confronti di cristiani, alawiti, curdi ed altre minoranze. Non possono essere semplicemente ‘pubbliche relazioni’ in quanto stabiliscono un precedente irreversibile. Jolani ha trascorso anni a epurare coloro che criticavano tali misure. Ora cammina su un terreno più stabile”.

L’esperto ricorda che non è stato usuale nemmeno il coordinamento visto con i gruppi appartenenti al brand storico del Free Syrian Army, un tempo i ribelli non formalmente jihadisti. “Ma al di là del coordinamento militare, la transizione è stata finora fluida dalla battaglia al consolidamento al governo provvisorio, in particolare ad Aleppo, ha visto HTS protagonista nel trasferimento dell’autorità a fazioni più radicate a livello locale”. Aron Zelin del Washington Institute, il più grande esperto al mondo di HTS, fa notare che l’Amministrazione delle Operazioni Militari dell’HTS ha pubblicato in queste ore nuove “istruzioni importanti”. È vietato sparare proiettili in aria poiché ciò provoca terrore tra i residenti e mette in pericolo delle vite (“è la terza volta che lo chiedono nelle ultime 24 ore”, consapevoli dell’uso storico dei miliziani). Inoltre, una comunicazione ufficiale dicono che: è vietato danneggiare le istituzioni pubbliche e i loro beni, ed è vietato violare o danneggiare la proprietà privata. Nel messaggio si precisa che chiunque violi queste istruzioni sarà ritenuto responsabile. Sarà questo il futuro della Siria, ex jihadisti in qualche modo rendenti pronti a condividere il governo del Paese con le collettività? “Nessun margine di ritirata” dice Jolani nel suo ultimo video, determinato a concludere il percorso iniziato nel 2011, aggiungendo che resterà fedele ai principi della rivoluzione e non si fermerà finché non saranno rispettati i diritti di tutti i siriani. E intanto manda un messaggio in cui si dichiara disposto a trattare le armi chimiche siriane (di cui avrà a breve il controllo) secondo i meccanismi di gestione e monitoraggio della Comunità internazionale.


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