A Damasco è definitivamente tramontato mezzo secolo di terrore e sorge il sole su una nuova Siria. Con molti interrogativi, ma anche con concrete prospettive. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Letteralmente folgorati sulla via di Damasco, cambiano radicalmente gli equilibri del Medio Oriente. Affogato nel sangue della sua ferocia e dell’inaffidabilità della sua corruzione, con le forze armate dileguatesi senza combattere come nel 2021 fece l’esercito afghano di fronte all’offensiva a dir poco artigianale dei talebani, l’implosione del regime di Bashar Al Assad rappresenta un durissimo colpo per il leader russo Vladimir Putin e l’Iran.
Mosca e Teheran perdono dall’oggi al domani le basi strategiche aeronavali dalle quali controllavano Mediterraneo orientale, Libano, i confini con l’Iraq e Israele e il transito di armi, droga e terroristi in un’area che è un crogiolo di razze e una molteplicità di culture e religioni. Sfiniti dalla fallita invasione dell’Ucraina, da economie in caduta libera, dall’emorragia del sostegno a vari gruppi paramilitari e dalle perdite subite per gli attacchi israeliani, Mosca e Teheran sono state prese in contropiede dalla rapidità dell’avanzata dei ribelli e non sono riuscite a programmare una ritirata e a sgomberare apparati e strutture strategiche dislocate in Siria. A cominciare dalla base militare della flotta russa a Tartus l’unico sbocco di Mosca sul Mediterraneo.
Prima ancora di valutare i rapporti di forza fra le milizie turche, curde e fondamentaliste che in dieci giorni da Aleppo col concorso imperscrutabile dell’intelligence americana, inglese e francese hanno conquistato Damasco, a fare l’enorme differenza fra la Siria di Assad e l’attuale situazione che sta evolvendo di ora in ora è, infatti, l’azzeramento della pervasiva presenza militare russa e iraniana con la contestuale perdita di mezzi, infrastrutture militari e di intelligence che provocheranno un ulteriore effetto domino nella capacità offensiva dei miliziani di Hezbollah in Libano, di Hamas a Gaza, degli Houthi dello Yemen e dei rapporti fra i vari gruppi terroristici armati, finanziati ed eterodiretti dai servizi segreti del Cremlino e dei Pasdaran iraniani.
L’altro colpo di maglio agli equilibri mediorientali filo russo iraniani è il capovolgimento del potere religioso siriano, da sciita a sunnita, con il conseguente passaggio alla sfera di influenza del mortale nemico dell’Iran nella regione: l’Arabia Saudita.
Dietro i festeggiamenti popolari dei cittadini di Damasco scesi in strada per festeggiare la caduta del regime dopo 50 anni di dittatura della famiglia di Assad, fuggito mentre i gruppi ribelli annunciavano l’inizio di una “nuova era” in Siria e il Paese si appresta a scrivere una nuova pagina della sua storia millenaria, si scorge la preoccupazione, e soprattutto il sotterraneo impegno operativo militare di Washington, per impedire quello che la Casa Bianca ha definito “un ritorno dell’Isis” e una metamorfosi terroristica siriana.
Dopo il loro ingresso a Damasco i ribelli hanno preso il controllo della tv di Stato e hanno “liberato” il sinistro carcere militare di Sednaya, noto come il “mattatoio umano”, dove “le porte sono state aperte per migliaia di detenuti che sono stati imprigionati dall’apparato di sicurezza durante tutto il governo del regime”, ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Considerata dai poeti la patria della luce, la plurimillenaria Damasco, che mentre Roma veniva fondata era già da ben 6.000 anni una metropoli mesopotamica, la capitale siriana torna nel turbine nella storia e sembra voler riprendere il proprio cammino di pari passo con l’Occidente.
(Foto: Cremlino)