L’India ha tratto ispirazione dalle normative europee e statunitensi, ma oggi si trova a dover seguire un percorso autonomo, perseguendo i propri interessi nazionali
Dal 2014, il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha reso chiaro l’obiettivo di trasformare l’India in una democrazia connessa digitalmente, guidata dal motto “sabka saath, sabka vikas” o “sviluppo per tutti”. In questo contesto, l’intelligenza artificiale (AI) è vista come uno strumento fondamentale per promuovere lo sviluppo socio-economico e per consentire all’India di avanzare sulla scena globale, in linea con i suoi obiettivi economici e politici nazionali.
Parallelamente, iniziative governative come “Aatmanirbhar Bharat” mirano a reindustrializzare il Paese, posizionandolo come un hub manifatturiero competitivo, in particolare rispetto a Cina e Sud-Est asiatico. Strategie come il “Make in India” integrano la digitalizzazione con la localizzazione, aprendo spazi per investimenti dall’estero. E l’AI, come tecnologia trasversale, svolge un ruolo più critico rispetto a settori come smartphone o e-commerce per le politiche industriali.
Un recente studio colloca l’India allo stesso livello della Cina in termini di maturità e preparazione nell’AI, con un mercato indiano che potrebbe raggiungere un valore di 17 miliardi di dollari entro il 2027. La competizione con la Cina influenza profondamente la politica industriale dell’India, che punta a espandere le proprie capacità manifatturiere sfruttando la sua leadership come sviluppatore di software. La competitività delle esportazioni indiane dipenderà dall’adozione diffusa di tecnologie che migliorano la produttività. Tuttavia, questa rapida evoluzione comporta sfide politiche e sociali, come evidenziato dal recente Digital Personal Data Protection Bill, che, pur non regolamentando esplicitamente l’AI, pone questioni rilevanti legate al trattamento dei dati personali. Allo stesso tempo, preoccupazioni come l’automazione e i suoi effetti sull’occupazione, decisioni algoritmiche discriminatorie e i rischi legati ai deepfake sollevano interrogativi su come bilanciare innovazione e regolamentazione.
Un recente policy brief dell’ECIPE, intitolato “AI and India’s National Interest”, mette in evidenza i dilemmi strategici che l’intelligenza artificiale presenta per l’India. Da un lato, la competitività delle esportazioni indiane dipende dall’adozione capillare di tecnologie che migliorano la produttività. Per mantenere la propria posizione di leadership nel mercato globale, le imprese di servizi e consulenza indiane devono integrare l’AI nei loro processi. Dall’altro, emergono preoccupazioni su come l’automazione potrebbe influire sulla coesione sociale, su potenziali decisioni algoritmiche discriminatorie e sui rischi di fenomeni come la disinformazione.
Tuttavia, il report evidenzia come le attuali linee guida transitorie abbiano offerto una strada percorribile per evitare sovrapposizioni di responsabilità o lacune normative, reinterpretando la legislazione esistente. L’India dispone di un quadro normativo comprensivo in materia di antitrust, responsabilità aziendale, libertà di espressione e ordine pubblico, che può essere applicato ai casi d’uso dell’AI senza bisogno di introdurre (per ora) regole più specifiche.
Un confronto con l’Unione europea rivela differenze significative. L’Ue, unico blocco ad aver scelto di regolamentare attraverso leggi vincolanti, si trova ad affrontare carenze strutturali uniche: l’assenza di una costituzione sovranazionale che tuteli i diritti umani e protegga i cittadini dalla sorveglianza o dal controllo algoritmico da parte degli Stati membri. Per evitare frammentazioni nel mercato unico, l’Ue deve dunque introdurre regole vincolanti per prevenire normative divergenti a livello nazionale.
In passato, l’India ha tratto ispirazione dalle normative europee e statunitensi, ma oggi si trova a dover seguire un percorso autonomo, perseguendo i propri interessi nazionali. Questo è essenziale data la sua struttura industriale orientata ai servizi e la duplice competizione con Cina (rivale) e Stati Uniti (partner e competitor amico), che, al contrario, non hanno imposto ostacoli normativi allo sviluppo o all’uso dell’AI.
La sfida per l’India non consiste dunque nel preferire piattaforme di AI locali o straniere, ma nell’incoraggiare un’adozione rapida e nel sostenere soluzioni open source e alternative accessibili per il fine-tuning e l’apprendimento trasferibile, elementi cruciali per il settore IT indiano secondo le valutazioni dell’istituto di studio europeo. Tali analisi sono fondamentali nel percorso di maggiore centralità e integrazione che l’India ha intrapreso: New Delhi è sempre più un attore globale, che si sottopone a sfide secolari.