L’assoluzione di Salvini limita le possibilità della Lega di sganciarsi dal suo segretario, in un momento in cui all’orizzonte la situazione sembra complicata. Anche se non per tutti i componenti del governo. E il referendum sull’autonomia differenziata in tale chimica rischia di essere fatale
L’assoluzione del leader della Lega Matteo Salvini nel recente processo di Palermo è una vittoria per lui ma apre interrogativi importanti sulle sorti della Lega e del governo. Infatti, la sentenza rafforza Salvini nel momento in cui almeno tre governatori leghisti, in Lombardia Attilio Fontana, in Veneto Luca Zaia e in Friuli Massimiliano Fedriga, potevano pensare di sbarazzarsi dell’ingombrante capo e indirizzare l’organizzazione su spazi diversi.
Incombe sulla Lega e sul governo la lotteria della legge sull’autonomia differenziata. La legge, pur “depotenziata” e cambiata rischia di essere vagliata da un referendum a marzo-aprile dell’anno prossimo. Se il referendum abroga la legge il governo intero è azzoppato; se il referendum non la abroga (perché ad esempio non si raggiunge il quorum) le forze centrifughe delle regioni ricevono un incoraggiamento politico importante. Il risultato è molto incerto ma in ogni caso devastante. Il governo dovrebbe tentare di evitare il referendum, ma anche questo rischia di non essere facile, perché apre una ferita nell’esecutivo che per due anni ha cavalcato la legge.
Su tutto poi grava la richiesta del presidente americano Donald Trump di portare le spese militari dei Paesi Nato al 5% del Pil. Oggi l’Italia spende per la difesa meno del 2%. Recuperare oltre un 3% del Pil rischia di minare di fatto lo stato sociale nel Paese e sconvolge i piani di allocazione di risorse delle regioni a favore dell’autonomia differenziata, quelle del nord in particolare. Tutte cose che di nuovo colpiscono il governo. Del resto, l’uscita dalla Nato imporrebbe costi di difesa all’Italia ben maggiori al 5%, pena essere invasi dalle milizie libiche.
In teoria quindi si dovrebbe rafforzare la tesi di una Lega nazionale, magari di estrema destra. Ma il recente attentato a Magdeburgo in Germania apre un altro capitolo rischioso. L’attentatore era sì di origine araba ma radicalizzato anti-Islam in Germania, con simpatie e frequentazioni nella destra radicale tedesca dello AfD (Alternative für Deutschland). È uno scenario noto in Italia negli anni ’70 quando il Paese era campo di battaglia della guerra fredda, quello che allora si chiamava “degli opposti estremismi”. Allora mentre la sinistra estrema si radicalizzava e scivolava verso il terrorismo comparve anche il terrorismo di destra che accusava lo Stato di essere troppo debole con la sinistra. Così oggi mentre l’Europa affronta l’emergenza emigrazione e l’estremismo islamico, l’estrema destra accusa con violenza gli Stati di essere troppo morbidi con l’Islam in generale e sogna magari una purga di sangue.
Una Lega che si radicalizzi a destra su questi temi rischia di sfiorare terreni pericolosi, che aizzano giustizie sommarie e creano molti più problemi di quanti vorrebbero risolvere. Né è chiaro se saranno premiati o meno dal voto. Infatti, è incerto se le elezioni del 23 febbraio in Germania all’ombra dell’attentato di Magdeburgo premieranno o meno lo AfD.
Ciò riduce spazi per la Lega da ogni lato e ne crea invece di nuovi per il partner più centrista della coalizione di governo, Forza Italia. In teoria la somma non cambia, ma cambiando gli addendi del governo la coalizione traballa anche senza l’ombra del referendum. Il referendum in tale chimica rischia di essere fatale.
In tutto ciò brilla l’assenza dell’opposizione, dove la voce più saggia e incisiva è quella dell’ex premier Romano Prodi. Egli conserva il tocco misurato in grado di non essere estremista ma allo stesso tempo incidere profondamente. Prodi però può di nuovo essere il polo di aggregazione della sinistra a 85 anni? In questo “gliommero”, pasticciaccio brutto si avvolge oggi l’Italia senza vie d’uscita terse se non l’aumento delle contorsioni interne.