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Groenlandia, Canada, Nato. Da Mar-a-Lago arrivano i punti fermi di Trump

Il presidente entrante degli Stati Uniti sfrutta l’occasione della conferenza stampa tenutasi nella sua residenza in Florida per fare il punto sul suo approccio (tutt’altro che morbido) ai temi internazionali

Dalla residenza/quartier generale di Mar-a-Lago, dove ha organizzato una conferenza stampa, il neo-eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha offerto ai giornalisti presenti (e tramite essi al mondo intero) una preziosa occasione per capire su quali linee guida si baserà il suo mandato presidenziale. Palesando la sua intenzione di utilizzare la potenza economica e militare degli Stati Uniti per promuovere la sicurezza nazionale e l’espansione territoriale, anche a danno degli alleati “tradizionali” di Washington.

A partire dalla questione della Groenlandia, che il leader repubblicano vorrebbe trasformare in territorio statunitense nonostante il dissenso della Danimarca. Nel suo primo mandato da presidente Trump ha seguito un approccio più “morbido”, offrendosi di acquistare da Copenaghen i più di due milioni di chilometri quadrati di territorio che compongono la Groenlandia, come già Washington aveva provato a fare nel 1867 e nel 1946. Ma come nei tentativi precedenti, anche stavolta la proposta di compravendita è stata bloccata immediatamente dal governo danese. Una posizione ribadita anche poche ore prima dell’evento di Mar-a-Lago dal Primo ministro danese Mette Frederiksen, in riferimento alla rinnovata proposta di acquisto avanzata da Trump durante le settimane precedenti.

Ma ai giornalisti Trump ha mostrato di essere pronto a passare ad un approccio meno morbido, promettendo di imporre tariffe molto alte alla Danimarca qualora il Paese non rinunci al controllo della Groenlandia, e arrivando addirittura a non escludere l’uso della forza per riuscire nei suoi intenti. Adducendo a sostegno della sua postura il fatto che gli Usa abbiano “bisogno della Groenlandia per motivi di sicurezza nazionale”.

Gli stessi toni utilizzati sulla questione della Groenlandia hanno caratterizzato anche le dichiarazioni di Trump sul tema del canale di Panama, di cui vorrebbe riprendere il controllo, se necessario anche con la forza. “Il Canale di Panama è vitale per il nostro Paese” ha dichiarato Trump, aggiungendo anche che a gestire il canale non sarebbe lo stato panamense, bensì la Repubblica Popolare Cinese. Il Presidente eletto non ha però giustificato in alcun modo quest’ultima affermazione.

Pure il Canada rientra nelle mire territoriali di Trump, che vorrebbe annetterlo agli Stati Uniti. Ma a differenza degli altri due casi, l’eventuale annessione avverrebbe soltanto attraverso l’uso della “forza economica” e non di quella militare. “Se ci si sbarazza di questa linea tracciata artificialmente[…]sarebbe molto meglio per la sicurezza nazionale. Non dimenticate che fondamentalmente noi proteggiamo il Canada” sono le parole utilizzate davanti ai giornalisti.

La risposta pressoché immediata è arrivata su X dal (dimissionario) primo ministro canadese Justin Trudeau: “Non c’è una sola possibilità che il Canada diventi parte degli Stati Uniti”.

Trump è tornato anche sul tema delle spese della difesa all’interno dell’Alleanza Atlantica, riaffermando la sua intenzione di spostare l’obiettivo al 5% del Pil in spese militari da parte di ciascuno stato membro della Nato. Una quota al momento non raggiunta da nessuno dei Paesi membri, nemmeno dagli Stati Uniti. Secondo l’ultima valutazione dell’Alleanza, ventitre dei trentadue Paesi membri dovrebbero raggiungere l’obiettivo del 2% nel 2024. Nel 2014 erano soltanto tre.

Marcus Faber, capo del comitato per la difesa del Bundestag, ha dichiarato a Bloomberg che gli Stati della Nato dovranno concordare un nuovo obiettivo, “Ma è già chiaro che questo nuovo obiettivo sarà il tre e non il cinque per cento. E, naturalmente, questo sarà deciso e concordato per consenso – e non da un solo Stato membro”.


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