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Perché la crisi dell’auto può svegliare l’Europa. Parla Pozzi

La drammatica situazione di una delle industrie più importanti del Vecchio continente altro non è che il prodotto dell’assenza di una vera politica lungimirante, in grado di andare oltre la semplice sopravvivenza. Ma ora tutto questo può essere una grande opportunità di crescita. Conversazione con Cesare Pozzi, economista e docente Luiss

Capire cosa voler fare da grandi. Se c’è una sfida che l’Europa non può e non deve perdere, è proprio questa. La profonda e drammatica crisi dell’industria automobilistica del Vecchio continente, simboleggiata dal buio improvvisamente calato su Volkswagen e l’intera metalmeccanica tedesca, è figlia di un peccato originale chiamato assenza di politica industriale. Un vuoto a sua volta imputabile alla continua ricerca dell’Europa della sua anima: uno Stato? Oppure un’entità variopinta o poco più? Cesare Pozzi, economista e docente alla Luiss, parte proprio da queste premesse per spiegare l’origine di un male che rischia di mandare in frantumi il più grande mercato unico del mondo.

Il motivo è presto spiegato: la Cina, pur con i suoi problemi, vende auto elettriche a mezzo mondo e a costi al di sotto della concorrenza. Per giunta, con un parco auto ormai in maggioranza a batteria, il grosso dei costruttori inonderà i mercati stranieri di motori endotermici. Gli Stati Uniti dal canto loro, sono prossimi a nuove politiche commerciali decisamente muscolari, proprio per rispondere all’aggressività cinese. In mezzo, l’Europa.

“Quello a cui abbiamo assistito in questi mesi, la crisi dell’auto in Germania tanto per fare un esempio, affonda le radici a decenni fa. Il problema è che da quasi 40 anni in Europa non si fa politica industriale e questo perché per fare politica industriale bisogna essere uno Stato. E il Vecchio continente non lo è”, chiarisce fin da subito Pozzi. “La domanda che dobbiamo porci, non solo in Italia ma anche in tutti i Paesi membri, è: vogliamo continuare a vivere di espedienti, alla giornata, a sopravvivere con politiche di emergenza, oppure cominciare a ragionare nel lungo termine, con un orizzonte di decenni? Evidentemente, se oggi siamo in questa situazione, il primo approccio non può più andare bene”.

“L’Europa oggi vive questa crisi perché non si sa dove si vuole andare. Sopravvivere, va bene, ma cosa vuol dire? Non morire domani? Vivere sei mesi, un anno? Eccolo il problema, si pensa al domani ma non al dopodomani. Guardiamo alla Cassa integrazione, che negli ultimi 15 anni ha visto un numero spropositato di ore. Non si può pensare di vivere solo con gli ammortizzatori sociali. E allora, serve la politica industriale di ampio respiro. Lo sforzo che deve fare l’Unione europea, è tutto qui. Basta ragionare di domani in domani, è tempo di una prospettiva che guardi al futuro in termini di anni. La crisi dell’auto ci insegna proprio questo”.

A questo punto è lecito chiedersi se sia giusto, come chiede da tempo l’Italia, ridiscutere i target del Green new deal, considerati troppo stringenti per l’industria dell’auto. Pozzi ha pochi dubbi, “assolutamente sì. Anche qui è stato commesso l’errore di vivacchiare. Il settore auto non ha capito i dettami della transizione, gli sono stati imposti e basta, senza ragionare in prospettiva. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Torno quindi al punto di partenza, per fare politica industriale serve uno Stato e l’Europa non lo è”.

“Gli obiettivi fissati sull’auto elettrica, per esempio, gli stessi target che hanno inguaiato i costruttori, avrebbero richiesto uno Stato, che comprendesse la sua portata prima di applicare quegli obiettivi, non dopo. Ridiscutere il Green new deal è inevitabile, perché quei vincoli potranno anche essere condivisibili, ma se non si preparano le imprese, allora diventano nocivi. In questo senso, l’industria dell’auto può essere quel grimaldello con cui finalmente costruire prima uno Stato europeo e poi la sua politica industriale”.


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