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Autonomia o dipendenza? La lezione SpaceX secondo Vittori

Il dibattito sull’accordo Starlink riporta al centro le sfide globali nel settore spaziale, tra opportunità perse e dipendenze inevitabili. L’Europa, priva di una visione ambiziosa, rischia di rimanere ai margini, tra autocompiacimento e scelte tardive. E l’Italia? Da potenziale partner di SpaceX, si ritrova ora relegata al ruolo di cliente, con prospettive sempre più condizionate dalle dinamiche internazionali. L’opinione di Roberto Vittori

Ho letto con curiosità le polemiche attorno all’ipotesi di stipulare un contratto con Starlink per telecomunicazioni sicure. Particolarmente divertente l’articolo comparso su Il Fatto Quotidiano online: “Trattativa Meloni-Musk per Starlink è un’opportunità? Non bisogna più perdere tempo: ci sono due guerre e l’Europa è in ritardo su tutto”. Cerchiamo di contestualizzare. SpaceX viene fondata il 14 marzo del 2003, e tra il 2008 ed il 2010 era a rischio di fallimento. Ma era già evidente che, se fosse sopravvissuta, avrebbe cambiato il destino dello spazio, puntando decisamente su innovazione ed efficentazione. Fu per questo a partire dal 2012, alcuni di noi (veramente molto pochi), facemmo tutto il possibile per stabilire un rapporto forte e diretto con SpaceX. Per esempio, nel 2017, riuscimmo, con enormi difficoltà, a firmare con l’azienda una Launch reservation agreement (Lra). Tuttavia, non ci fu un seguito a causa dell’animosità politica dell’epoca prediligeva il presunto “fai da te” europeo, guidata soprattutto dall’allora commissario francese Thierry Breton, che invocava l’autonomia europea, in primis sui lanciatori. Una scommessa che si è dimostrata perdente, ma che tutti seguirono, compresi coloro che oggi urlano a gran voce l’urgenza di fare in fretta a stringere accordi con SpaceX.

Il proverbio dice: “Meglio tardi che mai”, ma qui è ormai troppo tardi. Se avessimo aperto a collaborazioni con SpaceX al tempo, oggi saremmo loro partner. Invece, ormai, possiamo solo essere clienti e più ci avvicineremo a loro più saremo condannati alla dipendenza. Peraltro, con segni di cambiamenti di strategia estremamente pericolosi, come quello di abbandonare le priorità ad oggi consolidate verso la superfice lunare.

La mossa giusta, nelle condizioni attuali, è riaprire il dialogo con la Cina. In effetti, il mondo osserva una curiosa inversione di tendenza: gli Stati Uniti, storicamente paladini della democrazia e del pluralismo, sembrano avvicinarsi a un modello decisionale più autoritario, mentre la Cina, tradizionalmente associata a una governance rigida e centralizzata, mostra segnali di pragmatismo strategico, specialmente nel settore spaziale.

Con l’ascesa di un’ipotetica “era TrumpX” – simbolo di un approccio polarizzato e personalistico – gli Stati Uniti rischiano di sacrificare trasparenza e dibattito per un modello più accentrato. La retorica potrebbe trasformare il settore spaziale in un campo di battaglia propagandistico, abbandonando l’innovazione collaborativa che ha garantito decenni di leadership americana. La crescente politicizzazione delle agenzie e il controllo sui privati minacciano di compromettere il progresso globale.

Dall’altro lato del Pacifico, la Cina mostra un pragmatismo sempre più evidente. Nonostante il controllo del Partito comunista, il settore spaziale cinese si distingue per investimenti strategici, collaborazioni mirate con Paesi emergenti e obiettivi realistici. Con la stazione spaziale Tiangong, le missioni lunari Chang’e, i piani per basi permanenti sulla Luna, e ambiziosi programmi di esplorazione di Marte e asteroidi, Pechino si sta consolidando come attore globale. Inoltre, le sue costellazioni satellitari e i nuovi lanciatori rafforzano la sua presenza nello spazio.

Se gli Stati Uniti continueranno a politicizzare il proprio programma spaziale, rischieranno di compromettere il vantaggio competitivo che li ha resi leader globali. Al contrario, il pragmatismo della Cina potrebbe proiettarla come leader nello spazio, grazie alla combinazione di controllo centrale e flessibilità operativa. Questo equilibrio internazionale tende sempre più verso i Paesi Brics, rafforzando alleanze e ampliando l’influenza cinese.

E l’Europa? L’Esa e il continente sembrano ancora e nonostante tutto crogiolarsi in un edonistico autocompiacimento. Senza una strategia ambiziosa che superi lo status quo, l’Europa rischia di trovarsi ai margini delle grandi sfide globali. L’Italia, in particolare, si distingue per la celebrazione di successi passati e una retorica autoreferenziale, a parte i recenti slanci all’estremo opposto per farci diventare clienti e dipendenti da tecnologia altrui.


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