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Cosa serve per l’unità dei riformisti al Centro. Parla Ceccanti

C’è una guida legittimata del Pd. L’importante è che si muova verso il centro della società italiana, obiettivo ancora tutto da conseguire. Anche in ossequio a questa necessità nascono le due convention centriste a Milano e a Orvieto. A Milano c’è un arco di posizioni di merito diverse tra loro, pur partendo dal cattolicesimo. A Orvieto ci sono varie persone, ma tra i cattolici solo quelli che hanno un chiaro orientamento liberale di sinistra, di ispirazione degasperiana. Colloquio con Stefano Ceccanti

“A Milano c’è un arco di posizioni di merito diverse tra loro, pur partendo dal cattolicesimo. A Orvieto ci sono varie persone, ma tra i cattolici solo quelli, quorum ego, che hanno un chiaro orientamento liberale di sinistra, di ispirazione degasperiana”. Il costituzionalista, ex deputato del Pd Stefano Ceccanti è il vero regista della “reunion” di Libertà Eguale, che si terrà nei prossimi giorni a Orvieto. Parallelamente, la convocazione meneghina sotto l’egida di Ernesto Maria Ruffini e Pierluigi Castagnetti. Ciò che emerge dalle parole che il docente de La Sapienza consegna a Formiche.net restituisce un primo, fondamentale, chiarimento. Ossia che l’intenzione di fondo non sia quella di creare un partito o un soggetto autonomo rispetto ai due schieramenti. È, più che altro, una questione di metodo. “Ognuno che è portato alla moderazione – dice Ceccanti sulle nostre colonne – ma non a sistemi paludosi e trasformisti, nel campo in cui sta, che per noi è il centrosinistra, si impegna a coinvolgere elettori centrali, a smuovere incerti e astensionisti a proprio favore, a conquistare dinamicamente il centro”.

Il vostro titolo “idee per una sinistra di governo” sono l’ammissione/accusa al Pd di aver perso la vocazione maggioritaria, immaginata da Veltroni? 

Non è un’accusa, ma una constatazione. Qualcuno può davvero sostenere che se si votasse domani, a livello nazionale, sarebbe pronto un arco di proposte e di forze in grado di contendere all’attuale maggioranza il governo del Paese? Questo accade invece a livello locale e regionale su cui sono stati importanti risultati negli scorsi mesi, anche di rafforzamento del partito ormai indubitabilmente più forte, il Pd. Ma i livelli restano diversi e su quello nazionale c’è molto da fare.

Quali sono i punti di contatto tra voi e i “milanesi” che hanno organizzato la convention sotto l’egida di Ruffini? 

Mi sembra che questa constatazione del limite della situazione nazionale attuale sia comune e questo consente momenti di dialogo ravvicinato. Non possiamo però nasconderci le differenze che sono una ricchezza. La convocazione di Milano parte da un’identità cattolica di partenza, cosa però che non garantisce di uscirne con una comunanza di valutazioni politiche. Dirsi cattolici e alternativi all’attuale maggioranza non comporta di per sé omogeneità di vedute, a partire dal primo discrimine per un centrosinistra di governo a livello nazionale, il posizionamento europeo e internazionale. Al di là della necessità dell’aiuto pieno, anche militare, in questa fase all’Ucraina perché le autocrazie non vincano, creando un pericolosissimo precedente, c’è il nodo della costruzione di un’efficiente difesa europea, dotata di risorse proprie effettive, come ha sottolineato Gentiloni. E in questo quadro c’è, al netto di singole scelte criticabili, anche il tema della difesa di Israele, parte del mondo occidentale. La convocazione di Orvieto, come è classico di Libertà Eguale, non parte invece dalle appartenenze passate e neanche dalle collocazioni partitiche nel centrosinistra, ma dall’omogeneità di una cultura liberale di sinistra.

Quindi non è che a Milano ci siano i cattolici e a Orvieto i laici, ma allora quali sono le differenze di letture tra i cattolici, anche alla luce dell’attuale pontificato?

Diciamo che a Milano c’è un arco di posizioni di merito diverse tra loro, pur partendo dal cattolicesimo. A Orvieto ci sono varie persone, ma tra i cattolici solo quelli, quorum ego, che hanno un chiaro orientamento liberale di sinistra, di ispirazione degasperiana. È diverso il tipo di rapporto col pontificato, non solo questo, ma in generale. Il papa ha un ruolo diverso dal nostro, di tipo geopolitico e spirituale: deve tener conto di possibilità di mediazione, della situazione dei cattolici nei Paesi autocratici che non va messa in pericolo. Non può e non deve fare il cappellano della Nato o dell’Unione europea. I laici cattolici impegnati in politica non si rapportano in modo immediato al papa, ripetendo ciò che dice, ma devono partire in Italia da una cultura politica che ha fatto da subito le scelte giuste della Nato e dell’Unione europea a cui molti altri si sono aggregati in seguito e stanno dentro la grande scelta conciliare dell’opzione preferenziale per la democrazia, che comporta anche la stretta collaborazione tra le democrazie stesse e che prevede criteri per la legittima difesa anche armata. Insomma non sono, non siamo, zuavi di nessun papa; sono, siamo, responsabili di proprie mediazioni. La dico in altri termini: noi facciamo mediazioni, quindi siamo fuori dalla retorica dei principi non negoziabili, sia che si tratti di quelli su cui insistevano i precedenti pontefici sia di quelli dell’attuale.

Sulla base di quali presupposti si costruisce l’alleanza dei riformisti che voi auspicate in uno dei panel? 

Su questo vedremo anzitutto le riflessioni della relazione di apertura di Claudia Mancina, a partire dagli scenari internazionali di cui ho già accennato, fino alle questioni di impostazione culturale e sociale, dentro quella visione di liberalismo inclusivo che richiama sempre Michele Salvati. In altri termini si tratta della ricerca di nuove moderne forme di aiuto all’eccellenza e alla tutela, ai meriti e ai bisogni, nell’equilibrio tra le varie impostazioni in materia di diritti e così via. Certo, ad esempio, non ci troverete tra i sostenitori dei referendum antistorici sul jobs act, anzi ci troverete sul versante opposto.

Su queste colonne, Arturo Parisi, ha sostenuto che al Paese – più che un centro inteso come spazio politico in senso stretto – occorre un leader che faccia sintesi e porti il Paese al centro, marginalizzando le frange estreme dei singoli schieramenti. Condivide questa lettura? 

Le leadership si costruiscono sul campo, guidando le forze politiche. In questo momento, visti i rapporti di forza, la sede non è vacante, per dirla in termini cattolici. C’è una guida legittimata del Pd. L’importante è che si muova verso il centro della società italiana, obiettivo ancora tutto da conseguire.

Lei è stato un eminente parlamentare del Pd. Ma il senso delle vostre iniziative è quello di ricavarvi uno spazio in senso alla coalizione del centrosinistra oppure di ricavarvi uno spazio autonomo? 

Libertà eguale è uno spazio libero di elaborazione di cultura politica nel campo del centrosinistra riformista. La gran parte delle persone si riconosce liberamente nel Pd, ma dentro i limiti di perimetro nel centrosinistra ognuno spende le idee che costruiamo insieme dove vuole, o nella società senza appartenenze partitiche o in quella tra le forze del centrosinistra riformista che valuta come più adeguata.

Considerando il nostro sistema elettorale è immaginabile uno spazio di Centro in senso autonomo dai due schieramenti, considerando i precedenti anche più recenti – poi naufragati – come il Terzo Polo di Renzi e Calenda?

Guardi storicamente noi di Libertà Eguale siamo a favore di sistemi elettorali e istituzionali che diano ai cittadini prima del voto il diritto di decidere sui governi, quello che diceva Roberto Ruffilli con la metafora del cittadino come arbitro. Ovviamente vanno costruiti bene, tenendo conto della diversità dei livelli di governo, senza pensare di clonarli. I sistemi per i Comuni e per le Regioni nel complesso sono soddisfacenti e non vanno cambiati, bisognerebbe lavorare insieme per un modello ben fatto di Premierato come quello del testo di Cesare Salvi alla Bicamerale D’Alema. Figurarsi quindi se possiamo condividere l’idea di forze di centro di tipo opportunistico che possano determinare gli esiti di governo dopo il voto con l’uso spregiudicato dei poteri di coalizione. Ognuno che è portato alla moderazione, ma non a sistemi paludosi e trasformisti, nel campo in cui sta, che per noi è il centrosinistra, si impegna a coinvolgere elettori centrali, a smuovere incerti e astensionisti a proprio favore, a conquistare dinamicamente il centro. In sintesi: a regole invariate, specie quelle comunali e regionali che strutturano dal basso il sistema, quei tentativi sono velleitari. Potendo scegliere se cambiarle o meno, noi non saremmo certo per cambiarle con una regressione proporzionalista. Sono disegni o velleitari o sbagliati.

E quindi sulle istituzioni, visto che intendente presentare a Orvieto il libro di Matteoli sulla presidenza Napolitano, cosa pensate?

Occorre isolare, per quanto possibile, l’aggiornamento condiviso delle istituzioni, di cui c’è ancora bisogno, dallo scontro maggioranza-opposizione. Potremmo ricominciare dall’autonomia. Dopo che, con tutta probabilità, la Corte avrà dichiarato inammissibile il referendum ormai incomprensibile, perché non riscrivere insieme la legge secondo le indicazioni della Corte stessa? Il governo è della maggioranza, ma le istituzioni sono di tutti.


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